Un'altra scrollata di spalle.

«La seconda vittima non è ancora stata identificata. L'abbiamo trovata in una fossa biologica della Zona Uno.»

«Brutto quartiere.»

Chantale e io adesso ci fissavamo dritte negli occhi, entrambe con uno sguardo di sfida.

«Proviamo con un altro nome» dissi.

«Cappuccetto Rosso?»

«Patricia Eduardo.»

Gli occhi di Chantale non ebbero un fremito.

«Patricia lavorava all'Hospital Centro Médico.»

«Bingo con le padelle. Non è il mio gioco.»

«È scomparsa dallo scorso ottobre.»

«La gente a volte prende il volo.»

«Già.»

Calcio. Il tavolo si mosse.

«Il tuo nome è uscito durante certe indagini.»

«Niente da fare.»

Calcio.

«E... perché sarebbe uscito il mio nome?»

«Troppe coincidenze grandiose.»

«Per caso è uno scherzo?»

Gli occhi di Chantale si spostarono su Lywyckij. Lui sollevò i palmi. Il suo sguardo tornò su di me.

«Sono tutte un mare di stronzate.»

«La polizia del Guatemala non la pensa così. Stanno cercando informazioni.»

«Per me potrebbero anche cercare una cura per lo scolo. Non so di cosa stai parlando» disse fulminandomi con un'occhiata.

«Avete la stessa età, vivete a pochi isolati di distanza, girate negli stessi quartieri. Hanno trovato un collegamento, un gabinetto pubblico dove tu e Claudia De la Alda avete fatto entrambe pipì, e possono farti rispedire in Guatemala e metterti sotto torchio.»

Non era vero, ovviamente, e Lywyckij lo sapeva. L'avvocato non disse niente.

«Non potete fare niente per obbligarmi a tornare in Guatemala.» Dalla voce, Chantale sembrava un po' meno sicura di sé.

«Hai diciassette anni. Questo significa che sei minorenne.»

«Non lo permetteremo.» Lywyckij entrò in scena nella parte del Buono.

«Non credo che tu abbia molta scelta» proseguii, continuando nel mio ruolo del Cattivo.

Chantale non ci stava cascando. Tirò fuori le mani di tasca e le sporse in avanti con i polsi uniti.

«O.K., sono stata io. Le ho uccise io. E spaccio anche eroina davanti alle medie.»

«Nessuno ti sta accusando di omicidio» dissi.

«Lo so. È solo un po' di sana realtà per una ragazzina capricciosa.» Scattò in avanti, spalancò gli occhi e dondolò la testa come un cagnolino da cruscotto. «Alle ragazze cattive succedono cose cattive.»

«Qualcosa del genere» replicai, quasi indifferente. «Sai, vero, che niente può impedire il rimpatrio di Lucy?»

Chantale schizzò in piedi rovesciando la sedia.

La signora Specter si portò la mano al petto.

La guardia entrò nella stanza con la mano già sul calcio della pistola. «È tutto a posto?»

Lywyckij si alzò faticosamente in piedi. «Abbiamo finito.» Si voltò verso Chantale. «Tua madre ti ha portato degli abiti per quando devi presentarti davanti al giudice.»

Chantale alzò gli occhi al soffitto. Le sue ciglia erano incrostate di globi di mascara, che ricordavano le gocce di pioggia su una ragnatela.

«Dovremmo riuscire a tirarti fuori di qui nel giro di due o tre ore» proseguì l'avvocato. «Della storia della droga ci occuperemo in un secondo momento.»

Quando la guardia che prese in consegna Chantale fu uscita, Lywyckij si rivolse alla signora Specter: «Crede di poterla tenere sotto controllo?».

«Ma certo.»

«Potrebbe scappare nuovamente.»

«Questo posto tremendo la mette sulla difensiva. Quando sarà tornata a casa da suo padre e da me, non darà più problemi.»

Vidi Lywyckij un po' perplesso. Io ero decisamente dubbiosa al riguardo.

«Quando arriva l'ambasciatore?»

«Appena possibile.» Il sorriso di plastica tornò al suo posto.

Mi vennero in mente dei versi. Mi venne in mente una canzone su un sorriso a portata di mano che cantavo a otto anni quando facevo parte delle Coccinelle.

 

Ho qualcosa nelle tasche che appartiene al mio faccino

e lo tengo stretto stretto nel segreto posticino...

 

«Che cosa devo fare con la signorina Gerardi?» La domanda di Lywyckij mi riportò alla realtà.

«In che senso?» La non risposta della moglie dell'ambasciatore non indicava una grande preoccupazione.

«Devo rappresentare anche lei?»

«Le difficoltà di Chantale probabilmente nascono dalla cattiva influenza che quella ragazza ha su di lei. Procurarsi documenti. Viaggiare in autostop con estranei. Attraversare il continente in pullman. Mia figlia non avrebbe mai fatto quelle cose da sola.»

«Non ne sono sicura» dissi.

Gli occhi di smeraldo si voltarono verso di me, sorpresi.

«Come può dire una cosa simile?»

«Diciamo che è una questione di istinto.» Non avevo intenzione di tornare sui miei passi.

La signora Specter fece una pausa, poi: «Per ogni evenienza, è meglio che non ci immischiamo nelle questioni dei cittadini guatemaltechi. Il padre di Lucy è un uomo ricco. Si occuperà di lei».

L'uomo ricco era già arrivato a Montréal e stava seguendo una guardia quando noi uscimmo in corridoio. Il suo accompagnatore, come Lywyckij, portava abiti costosi, scarpe italiane, valigetta di pelle.

Quando ci incrociammo, Gerardi si voltò e i nostri sguardi si incontrarono.

La bambina dietro il cancello della scuola aveva suscitato la mia compassione. Quella reazione non fu niente in confronto alla pietà che sentivo adesso per Lucy Gerardi. Ciò che l'aveva portata in Canada, qualunque cosa fosse, non le sarebbe stato perdonato tanto facilmente.

 

17

 

Un'ora dopo stavo percorrendo un viale fiancheggiato da siepi che mi arrivavano alle spalle e che portava a una doppia porta a vetri. Al centro di ciascun vetro, il logo e le informazioni relative alla società. Caratteri cubitali per la scritta in francese, caratteri piccoli per quella in inglese. Molto québequois.

Per arrivare in zona ci erano voluti trenta minuti di macchina, e altri trenta ne avevo impiegati per trovare l'indirizzo esatto. Come per molte altre aziende della zona industriale di Saint-Hubert, la sede della RP Corporation era una sorta di parallelepipedo grigio a due piani, tutto in cemento. Le strutture erano tutte uguali, ma ognuna esprimeva la sua individualità con una striscia colorata dipinta sui quattro lati, che la circondava come il nastro di un pacco regalo. Il fiocco della RP era rosso.

L'atrio aveva il pavimento più lucido che avessi mai visto. Mi diressi verso un ufficio a sinistra dell'ingresso principale. Quando entrai, una donna asiatica mi salutò in francese. I capelli, neri e lucentissimi, erano tagliati a carré con la frangia che copriva la fronte. Gli zigomi sporgenti e alti mi ricordarono Chantale Specter, che a sua volta mi fece pensare alla ragazza della fossa biologica. Provai l'ormai familiare brivido del senso di colpa.

«Je m'appelle Tempe Brennan» dissi.

Sentendo il mio accento, la donna passò all'inglese.

«Come posso aiutarla?»

«Ho un appuntamento con Susanne Jean alle tre.»

«Si accomodi pure. Avviso che lei è qui.» Sollevò la cornetta e comunicò il mio arrivo.

Susanne arrivò in meno di un minuto. Pesava più o meno come me, ma mi superava in altezza di tutta la testa. La sua pelle aveva il colore della melanzana; i capelli erano intrecciati lungo tutta l'attaccatura e formavano un motivo decorativo che le circondava il viso e proseguiva in un mazzo di lunghissime treccine raccolte con una fascetta arancione. Come sempre, Susanne dava più l'impressione di essere una modella che un ingegnere meccanico.

Tornammo nell'atrio, e la seguii oltre un paio di porte collocate di fronte all'ingresso principale. Attraversammo una stanza stipata di apparecchiature dove tecnici in camice bianco regolavano manopole, studiavano monitor, osservavano i vari macchinali fare ciò che dovevano. Il locale risuonava di ronzii, ticchettii, fruscii.

L'ufficio di Susanne - una stanza con nude pareti bianche e mobili di teak di linea essenziale - era lucente come il resto dell'edificio. Sulla parete dietro la scrivania spiccava un unico acquerello: un'orchidea in un vasetto di cristallo, un petalo sulla scrivania, una perfetta gocciolina d'acqua.

A Susanne piacevano le cose ordinate. Come me, Susanne aveva un passato disordinato. Come me, aveva fatto una radicale pulizia.

La mia droga preferita era stata l'alcol, quella di Susanne la cocaina. Pur non appartenendo all'organizzazione, ci eravamo conosciute attraverso una comune amica, fanatica degli Alcolisti Anonimi. Ormai erano passati sei anni, ma ci eravamo tenute in contatto, vedendoci di tanto in tanto insieme all'amica che ci aveva fatte conoscere, oppure sole, per una cena o una partita di tennis. Sapevo poco del suo mondo, lei ancora meno del mio, ma in qualche modo la scintilla era scoccata.

Susanne sedette su un divano albicocca e accavallò i suoi dodici metri di gambe. Io sedetti accanto a lei.

«Che cosa fate per Bombardier?» domandai.

«Stiamo facendo prototipi di componenti in plastica.»

«Per la Volvo?»

«Sfere per cuscinetti.»

Il mondo dei prodotti industriali per me è misterioso come le paludi di Okeefenokee. Le materie prime entrano. I tosaerba, i cotton-fioc e le Buick escono. Di quello che succede nel mezzo, non ho la più pallida idea.

«So che utilizzate i dati in formato CAD per creare oggetti solidi, ma in realtà non ho mai capito bene che genere di oggetti» dissi.

«Componenti funzionali in plastica e metallo, modelli di fusione e inserti durevoli metallici per gli stampi di fusione.»

«Ah.»

«Hai portato le TAC?»

Le passai la busta della dottoressa Fereira. Ne estrasse il contenuto e studiò le varie pellicole, sollevandole alla luce come aveva fatto la dottoressa. Di tanto in tanto le pellicole si piegavano producendo il rumore di un tuono che scoppia in lontananza.

«Sarà divertente.»

«Adesso, convertendo i tuoi dati in CAD tridimensionale, ricaviamo un file STL, poi...»

«STL?»

«Stereolitografia. Poi inseriamo il file STL nel nostro sistema.»

«Uno dei macchinali che sono nello stanzone qui fuori?»

«Proprio quelli. La macchina sparge uno strato sottile di polveri su un supporto di lavorazione, dopodiché un raggio laser a CO2 - seguendo i dati del file STL - disegna sullo strato di polveri una sezione trasversale dell'oggetto, nel tuo caso un cranio, poi lo sinterizza...»

«Sinterizza?»

«La sinterizzazione è una tecnica di riscaldamento e fusione localizzata. Da questa operazione si ottiene una massa solida che rappresenta una delle sezioni trasversali del cranio. Il sistema poi continua a spargere la polvere e a indurirla, uno strato dopo l'altro, finché il cranio è completo.»

«Tutto qui?»

«Più o meno sì. Quando il cranio è pronto, lo togliamo dalla camera di sinterizzazione ed eliminiamo la polvere in eccesso. Potrai usarlo così com'è oppure sabbiarlo, temprarlo, rivestirlo o dipingerlo.»

Avevo ragione. Qualcosa entra. Qualcosa esce. Nel mio caso, erano entrati i dati presi dalle TAC della dottoressa Fereira. E sarebbe uscito il collo del cranio della Pensión Paraíso. Almeno, così speravo.

«Questa tecnologia si chiama SLS, Sinterizzazione Laser Selettiva.»

«Oltre alle sfere dei cuscinetti e ai componenti in plastica, che altro fate?»

«Ventopale per pompe, connettori elettrici, gusci per lampade alogene, unità di alloggiamento per turbocompressori automobilistici, parti di serbatoio per il liquido dei freni...»

«Anelli per la nebulosa di Orione.»

Scoppiammo a ridere.

«Quanto tempo ci vorrà?»

Susanne scrollò le spalle. «Due, forse tre ore per convertire i dati delle TAC in file STL, un giorno, forse un po' di più, per ottenere il collo del cranio. Che ne dici di lunedì, nel tardo pomeriggio?»

«Fantastico.»

«Hai un'aria stupita.»

Lo ero. «Mi aspettavo una settimana o due.»

«Questo lavoro ha l'aria di essere molto più interessante dei miei gusci per apparecchi acustici.»

«E la polizia guatemalteca ti sarà eternamente grata.»

«C'era qualcuno di carino, laggiù?»

Mi venne in mente la faccia di Galiano.

«Uno ci sarebbe.»

«E che mi dici del caballero che frequenti quassù?»

Mi venne in mente Ryan.

«Ultimamente Pecos Bill sta tenendo un profilo molto basso.»

«Comunque sia, sappi che farò il tuo cranio personalmente.» Puntò il dito lungo e affusolato verso di me. «A una condizione.»

«Ti pago una cena» dissi ridendo. «Domani sera?»

«Direi che va bene. Ma ti avverto, amica. Ho intenzione di farti mettere in conto l'acqua minerale più cara di tutto il menu.»

 

Entrai in casa, e ci trovai il caballero, sdraiato sull'amorino in pelle, la testa appoggiata a un bracciolo, le gambe che ciondolavano sull'altro.

«Come sei entrato?»

«È tutto a posto. Sono uno sbirro.»

Posai la valigetta e i sacchetti della spesa.

«Va bene. Allora proviamo con "perché".»

«Fuori fa caldo.»

Lo lasciai proseguire.

Ryan si mise a sedere e appoggiò i suoi numero quarantacinque sul pavimento.

«Questa specie di divano non è progettata per esseri oltre il metro e ottantacinque.»

«È un arredo decorativo.»

«Sarebbe un inferno guardarci le finali della Stanley Cup.»

«Non è fatto per starci stravaccati.»

«E allora per che cosa è fatto?»

«Per raccogliere posta inutile, volantini pubblicitari, vecchie copie di giornale.»

«Questo ingresso non potrebbe mai ottenere il marchio "a prova di visitatore".» Ryan si strofinò la base del collo.

«Ci sono un sacco di piante.»

Mi rivolse il suo sorriso da scolaretto ultraquarantenne. «Mi mancavi.»

«Sono tornata ieri.»

«Sto facendo un appostamento.»

«Ah sì?»

«A Drummondville.»

Oltre la porta udii il suono lontano dei clacson e dei colpi di acceleratore. Il traffico del venerdì sera si stava esaurendo.

«Il proprietario di una specie di bettola chiamata Les Deux Originals ha deciso di espandere l'attività nel settore delle armi leggere.»

«Non mi avevi detto che parlavi spagnolo.»

«Cosa?»

«Niente.»

Raccolsi i pacchi che avevo posato a terra.

«È stata una giornata pesante, Ryan.»

«Che ne dici di uscire a cena domani sera?»

«Ho altri impegni.»

«Li cancelli.»

«Non sarebbe carino.»

«Allora che ne dici di andarci stasera?»

«Ho appena comprato gamberi e un mare di verdure.»

«So una ricetta con gli scampi che è bandita da quattro città italiane.»

La mia spesa poteva bastare per due. Anzi, veramente poteva bastare per dodici. Non volevo mai più ritrovarmi con una dispensa vuota come quella che avevo dovuto affrontare la sera prima.

Ryan si alzò, sollevò le mani palmo in su e mi scoccò un altro dei suoi sorrisi. Era abbronzato per le lunghe ore di appostamento all'aperto, e sulla pelle dorata i suoi occhi risaltavano più del solito, un azzurro oltre l'azzurro che le cellule umane possono produrre.

In genere, con il tempo, anche la bellezza più stupefacente diventa familiare. È come guardare il pattinaggio alle Olimpiadi. Dopo un po' ci si sazia e si dimentica quanto siano straordinarie la grazia e la bellezza di quella disciplina. Come succedeva con Susanne. Pur conoscendo la sua innata eleganza, ormai non mi sorprendevo quando la vedevo entrare in una stanza.

Ma di Ryan non potevo dire altrettanto. Il suo bell'aspetto mi sorprendeva regolarmente.

E lui lo sapeva.

«Quali?» domandai.

Mi guardò disorientato.

«Quali città?»

«Torino, Milano, Siena e Firenze.»

«Hai mai preparato questi scampi?»

«No, ma ho letto la ricetta da qualche parte.»

«Speriamo che siano buoni.»

Mentre mi cambiavo, Ryan bevve una birra. Poi lui arrostì i gamberi sul grill e io preparai un'insalata.

Durante la cena, chiacchierammo di molte cose, mantenendoci su un livello di tranquilla banalità. Dopo aver sparecchiato, prendemmo il caffè in veranda.

«Erano davvero ottimi» dissi per la seconda volta.

Le finestre illuminate del palazzo di fronte spiccavano nel buio.

«Ti ho mai imbrogliata?»

«E perché questa delizia sarebbe bandita in Italia?»

Ryan scrollò le spalle. «Forse ho esagerato un po'.»

«Capisco.»

«Direi proprio che possiamo anche considerarlo un reato minore.»

Oltre il muro del cortile, l'euforia del venerdì sera stava decollando. Clacson di automobili. Sirene di ambulanze. I gaudenti del fine settimana, dai loro condomini di Dorval e Pointe Claire. Hip-Hop martellante, che aumentava o diminuiva con lo sfrecciare delle auto.

Ryan accese una sigaretta.

«Come va a Chupan Ya?»

«Ti sei ricordato il nome del villaggio.»

«Per te è un posto importante.»

«Già.»

«Dev'essere una cosa da annodare lo stomaco.»

«Lo è.»

«Raccontami.»

Fu come parlare di un universo parallelo, dove i corpi putrefatti erano i protagonisti di un'opera troppo orrenda per le parole. Madri senza testa. Bambini massacrati. Una vecchia viva solo perché aveva dei fagioli da vendere.

Ryan ascoltò, senza quasi staccare gli occhi pervinca dalla mia faccia. Le sue domande erano rare, e sempre pertinenti. Non mi metteva fretta, né cambiava argomento, consentendomi di raccontare secondo i miei tempi.

E ascoltava.

E mi resi conto di una verità.

Andrew Ryan era uno dei rari uomini in grado di comunicarti che i tuoi sono gli unici pensieri della galassia a interessarlo, vero o falso che fosse.

Il tratto più interessante che un uomo possa avere.

E che non passava inosservato alla mia libido, che ultimamente sembrava fare molti straordinari.

«Altro caffè?» domandai.

«Grazie.»

Andai in cucina.

Forse non aveva avuto una cattiva idea a passare da me. Forse ero stata troppo dura con il caballero. Forse avrei dovuto usare un po' di trucco.

Feci una piccola deviazione in bagno, mi spazzolai i capelli, mi spolverai le guance con un po' di fard, decisi di evitare il mascara. Meglio con ciglia meno folte che impiastricciate male e in fretta.

Quando passai a Ryan la sua tazza, allungò la mano e mi sfiorò le guance appena ravvivate. La pelle mi si incendiò com'era successo con Galiano.

Forse era un virus.

Ryan mi schiacciò l'occhiolino.

Guardai le nostre ombre vicine; il cuore mi batteva a una velocità da Gran Premio.

Forse non era un virus.

Tornai a sedere, e Ryan mi domandò perché ero rientrata a Montréal.

Eccomi di nuovo con i piedi per terra.

Riflettei su ciò che ero autorizzata a rivelare sul caso della Pensión Paraíso. Avevo già parlato dello scheletro con Ryan, ma sia Galiano sia la signora Specter mi avevano raccomandato la massima discrezione circa il coinvolgimento dell'ambasciata.

Decisi di raccontare tutto, ma di parlare degli Specter come di «una famiglia del Québec».

Di nuovo, Ryan ascoltò senza interrompere. Lo scheletro. Le quattro ragazze scomparse, poi, tre, poi due. Il pelo del gatto. Il calco del cranio. Quando ebbi terminato, per alcuni minuti scese il silenzio, prima che Ryan commentasse.

«Hanno messo dentro le due ragazze solo perché hanno rubato qualche CD?»

«Pare che una delle due sia stata un po' sgradevole.»

«Sgradevole?»

«Resistenza all'arresto, insulti, sputi.» La signora Specter mi aveva passato qualche informazione durante le attese negli aeroporti.

«Pessima mossa. Quello che non capisco è perché Chantale Specter sia stata trattenuta nel carcere del Quadrante Sud.»

«Come fai a sapere che si tratta della figlia dell'ambasciatore?» Non potevo crederci. Ero stata così attenta a rispettare la riservatezza degli Specter, e il super detective aveva già un taccuino pieno di appunti.

«I diplomatici godono dell'immunità» proseguì.

«Immunità diplomatica» replicai.

Chiusi gli occhi, e cercai di controllare l'irritazione. Ryan mi aveva fatto raccontare tutta la storia ed era a conoscenza di ogni cosa. Ma perché sapeva degli Specter?

«Gesù, Ryan. Riuscirò mai a lavorare a un caso senza che tu ci metta il becco?»

Ma Ryan stava seguendo il filo dei suoi ragionamenti.

«L'immunità diplomatica non esiste nel Paese di origine. Perché Chantale Specter non è stata rilasciata subito?»

«Forse non voleva restituire la tuta arancione. Da quanto tempo sai di questa storia?»

«Avrebbe dovuto andarsene in limousine in meno di un'ora.»

«Chantale ha rilasciato generalità false. I poliziotti non sapevano chi fosse. Da quanto tempo sai che si tratta degli Specter?»

Di nuovo ignorò la mia domanda.

«Chi ha scoperto la sua copertura?»

«Chantale ha usato un telefono controllato per chiamare un'amica.» La signora Specter mi aveva raccontato anche questo.

«E l'amica ha contattato la mamma.»

Tirai un lungo, teatrale sospiro.

«Sì.»

«E gli sbirri hanno deciso di lasciare in cella Chantale la birichina a raffreddare i bollenti spiriti mentre la mammina correva in Québec.»

«Qualcosa del genere.»

Il rumore delle auto echeggiava oltre il muro esterno del cortile. Un motore si accese nel parcheggio proprio sotto casa.

«Un paio d'ore.»

«Che cosa?» domandai, ancora irritata.

«Lo so da un paio d'ore. Galiano mi ha informato di tutto oggi pomeriggio.» Ryan sorrise e diede una leggera scrollata di spalle. «Il vecchio Pipistrello non cambia mai.»

Quando sono irritata, divento suscettibile e lancio missili verbali. Ma quando sono arrabbiata, molto arrabbiata, è come se dentro di me tutto si fermasse. La mente si congela, la voce si abbassa, e ogni reazione diventa glaciale.

Ero stata l'argomento di discussione di due ex studentelli di università. L'interruttore della rabbia scattò.

«Hai telefonato a Galiano?» domandai, indifferente.

«Mi ha chiamato lui.»

«Per caso il tenente Galiano si è informato circa la mia competenza?»

«Mi ha fatto qualche domanda sulla famiglia Specter.»

Ci fu un attimo di silenzio artico. Ryan si accese una sigaretta.

«Quando vi siete raccontati di me, lo avete fatto in spagnolo?»

«Cosa?» Ryan non colse il mio riferimento ai suoi vecchi tempi.

«Lasciamo perdere.»

Ryan inspirò ed espirò una lunga boccata di fumo.

«Galiano aveva qualche novità su un possibile colpevole» disse come se niente fosse, con il tono di uno che legge i programmi della televisione a voce alta.

«Quindi Galiano ha telefonato a te, anche se non c'entri niente con il caso.»

«Voleva sapere che cosa avevo sugli Specter, e ha provato a chiamare te.»

«Ah, davvero?»

«Ti ha chiamata al cellulare. Ero passato a dirti questo.»

«Non è vero.»

«Hai controllato i tuoi messaggi ultimamente?»

Non l'avevo fatto.

Senza dire una parola, entrai in casa e presi il telefono nella borsa. Quattro chiamate senza risposta. Tutte fuori zona. Premetti il pulsante della mia casella vocale. Due messaggi.

Il primo era di Ollie Nordstern. Il giornalista aveva qualche domanda per me. Potevo richiamarlo? Premetti CANCELLA.

Il secondo era di Galiano.

«Pensavo che ti interessasse saperlo, la notte scorsa abbiamo arrestato il delinquente che ha ucciso Claudia De la Alda.»

 

18

 

Galiano rispose alla mia chiamata solo il sabato, nella tarda mattinata. Aveva già iniziato l'interrogatorio del delinquente in questione.

«Chi è?»

«Miguel Angel Gutiérrez.»

«Continua.»

«L'altra notte Gutiérrez stava prendendo contatti con le sue radici, alle rovine di Kaminaljuyu. Gramps, il nostro ficcanaso che tiene ai rapporti di buon vicinato, si è molto incuriosito per quella escursione e ha telefonato alla centrale. Gutiérrez è stato beccato mentre scavalcava la barriera di protezione cinque metri oltre il punto in cui è stato gettato il cadavere di Claudia De la Alda.»

«Coincidenza?»

«Come il guanto di O.J., Gutiérrez lavora come giardiniere. La casa dei De la Alda è uno dei suoi lavori regolari.»

«Non stai scherzando?»

«Non sto scherzando.»

«Lui che dice?»

«Non molto. Al momento sta parlando con un prete.»

«Eh?»

«Credo che potrebbe venir fuori il quinto comandamento. Nel frattempo, Hernández sta controllando la sua roulotte.»

«Nessun collegamento con la Pensión Paraíso o con Patricia Eduardo?»

Gli raccontai del campione di pelo di gatto e della duplicazione del cranio.

«Niente male, Brennan.»

Era esattamente quel che avrebbe detto Ryan.

«Fammi sapere che cosa succede.»

Nel pomeriggio, pulii la casa e mi occupai del bucato. Poi infilai la tuta e andai in palestra. Mentre sudavo sul tapis roulant due nomi continuavano a ronzarmi in testa.

Ryan e Galiano.

Galiano e Ryan.

Rispetto alla sera prima, quando avevo congedato Ryan con un gelido ciao, la mia rabbia era diminuita. Ma solo di poco.

Perché?

Perché lui e il suo compagno di università avevano parlato di me come dell'ultimo mercoledì al bowling.

Ryan e Galiano.

Galiano e Ryan.

Ma ne ero sicura?

Certo che l'avevano fatto.

Stavo diventando paranoica?

Galiano e Ryan.

Cosa si erano detti?

Mi tornò alla mente un aneddoto piuttosto imbarazzante che aveva Ryan e me come protagonisti. Eravamo su una barca, io indossavo una T-shirt, dei calzoncini e non portavo biancheria intima.

Oh mio Dio!

Ryan e Galiano.

Corsi fino a farmi bruciare i polmoni e finché non sentii le gambe tremare. Quando entrai nella doccia, la rabbia era scesa sotto il livello di guardia.

Quella sera cenai con Susanne Jean a Le Petit Extra di Rue Ontano. Ascoltò la mia storia sui due temerari super poliziotti con le labbra increspate da un lieve sorriso.

«Come puoi essere sicura che non si è trattato di una conversazione rigorosamente professionale?»

«Intuito femminile.»

Le delicate sopracciglia di Susanne si sollevarono. «Cioè?»

«La famosa teoria secondo la quale tutti gli uomini sono porci.»

«Ma non è un po' sessista?»

«Certo che lo è. Ma non mi resta molto altro a cui attaccarmi.»

«Rilassati, Tempe. Stai diventando ipersensibile.»

Sotto sotto, lo pensavo anch'io.

«E poi, da quello che mi dici, non hanno niente da mettere a confronto.»

«La teoria dice: se non ce l'hanno, lo inventano.»

Scoppiò in una della sue sonore risate.

«Ragazza, sei messa male.»

«Lo so. Come sta venendo il cranio?»

Susanne aveva convertito le TAC e avrebbe ritirato il cranio alle quattro di lunedì.

Prima di lasciarci, puntò il dito contro di me.

«Sorella. Tu hai bisogno di una bella scorribanda tra le lenzuola.»

«Purtroppo non ho un compagno di scorribande.»

«Lo dici quasi come se ne avessi avuti troppi.»

«Mah...»

«Che ne dici di un FAB?»

«Va bene, abbocco. Che cos'è un FAB?»

«Un Fidanzato A Batteria.»

Susanne spesso aveva un interessante modo di prendere la vita.

La domenica, ricevetti una chiamata da Mateo Reyes. Il capo della FAFG stava procedendo nel lavoro sulle vittime di Chupan Ya ed erano rimasti da identificare solo nove scheletri. Gli spiegai che la vicenda Specter era sotto controllo e che sarei tornata appena terminato di analizzare i casi di Montréal.

Mateo mi riferì un messaggio di Ollie Nordstern. Il giornalista chiamava tutti i giorni dicendo che doveva parlarmi con urgenza. Risposi in modo evasivo.

Mateo aveva buone notizie di Molly Carraway. L'archeologa era stata dimessa dall'ospedale e stava tornando con il padre nel Minnesota. Si sarebbe ripresa completamente.

Mateo aveva anche una brutta notizia. La signora Ch'i'p era morta nel sonno venerdì notte. La nonna di Chupan Ya aveva sessantun anni.

«Sai che cosa penso?» La voce di Mateo era insolitamente inquieta.

«Che cosa?»

«Credo che quella donna si sia sforzata di continuare a vivere fino al giorno in cui è riuscita a dare una degna sepoltura ai suoi figli.»

Mi trovai d'accordo con Mateo.

Mentre riagganciavo la cornetta, sentii un filo caldo scendermi lungo le guance.

«Vaya con Dios, señora Ch'i'p.»

Mi asciugai le lacrime.

 

Quando il lunedì arrivai in laboratorio, le ossa del tronco erano ancora immerse nell'acqua. La riunione del mattino fu stranamente breve, e riguardò tre soli casi. Un accoltellamento a Lavai. Un incidente con il trattore vicino a Saint-Athanase. Un suicidio a Verdun.

Avevo appena posato la testa mummificata sul mio tavolo di lavoro, quando sentii battere sulla finestrina della porta. Ryan mi sorrideva dal corridoio.

Indicai la testa e gli feci cenno di andare via.

Lui batté di nuovo. Lo ignorai.

Insisté una terza volta, e quando sollevai lo sguardo il suo tesserino di riconoscimento era premuto contro il vetro.

Alzai gli occhi al soffitto, mi alzai e lo feci entrare.

«Ti senti meglio?» mi chiese.

«Sto bene.»

Lo sguardo di Ryan si posò sul tavolo. «Gesù santo, che cosa gli è successo?»

La testa in effetti era bizzarra. Non misurava più di quindici centimetri di diametro, aveva lunghi capelli scuri e pelle bruna raggrinzita. I lineamenti più che un essere umano, ricordavano un pipistrello. Dalle labbra sporgevano alcuni spilli e da un buco nella lingua spuntava uno spago sfilacciato.

Presi una lente e la passai sul naso, sulle guance e sulla mandibola affinché Ryan guardasse meglio.

«Che cosa vedi?»

«Dei taglietti.»

«La pelle è stata sollevata per sfilare i muscoli. Le guance probabilmente sono state imbottite di tessuto.»

Ruotai la testa.

«La base è stata danneggiata per estrarre il cervello.»

«Cosa diavolo è?»

«Un teschio peruviano usato come trofeo.»

Ryan mi guardò come se gli avessi appena detto che avevamo davanti il figlio di un extraterrestre.

«In genere queste teste venivano preparate nelle zone lungo la costa dell'America del Sud tra il primo e il sesto secolo dopo Cristo.»

«Una testa infeltrita?»

«Sì, Ryan. Una testa infeltrita.»

«Ma com'è arrivata dal Perù al Canada?»

«I collezionisti adorano queste cose.»

«Sono legali?»

«Negli Stati Uniti sono illegali dal '97. In Canada non ne sono sicura.»

«Ne avevi mai vista una prima?»

«Avevo visto diverse imitazioni. Mai una autentica.»

«E questa lo è?»

«A me sembra autentica. E la scheggiatura dei denti indica che il nostro amico se ne va in giro già da un bel po'.»

Posai la testa sul tavolo.

«L'ultima parola sull'autenticazione spetta a un archeologo. Che cosa volevi?»

Ryan continuò a studiare la testa.

«Le tue conclusioni sul tronco.»

Allungò una mano e toccò i capelli, poi le guance.

«Per caso qualche settantenne è scomparso nel fiume?»

«Non saprei.»

Mi guardò e si pulì la mano sui jeans.

«Ho fatto solo un esame preliminare, ma questo tizio ha tanti anni sulle spalle.»

«Probabilmente non è Clément.»

«Probabilmente no.»

Presi i calibri, ma Ryan non sembrava avere intenzione di andarsene.

«C'è altro?»

«Galiano mi ha chiesto di fare due chiacchiere a quattr'occhi con la piccola peste. Così gli risparmio un viaggio. Dice che magari ti piacerebbe aggregarti.»

Aggregarmi? Un guizzo di rosso.

Ryan indicò la testa.

«Perché quel buco nella fronte?»

«Corda.»

«Detesto quando succede anche a me.»

Lo guardai con l'espressione di chi dice: Ti prego...

«Gli Specter sono fuori gara per il caso della fossa biologica. Anzi, con l'entrata in scena di Gutiérrez, sembra proprio che la pista del serial killer non regga. Ma Galiano pensa che una chiacchierata con la principessina non guasterebbe.»

«Galiano ha chiamato di nuovo?» Fredda.

«Questa mattina.»

«Gutiérrez ha confessato?»

«Non ancora, ma Galiano è convinto che cederà.»

«Sono contenta che ti tenga informato.»

«Io sono qui, lui è lì. Mi occupo dell'interrogatorio come favore professionale.»

«Tu sei bravo con gli interrogatori.»

«Già.»

«Dio benedica le gonadi.»

«Ascolta, Brennan: tu sei una scienziata e studi le ossa. Io sono uno sbirro e faccio gli interrogatori.»

Prima che potessi replicare, il cercapersone di Ryan trillò. Lo staccò dalla cintura e controllò la chiamata.

«Devo scappare. Senti, non sei obbligata ad andare da Chantale. Galiano pensava che ti avrebbe fatto piacere essere inclusa.»

«E quando sarebbe la gita?»

«Dovrei rientrare da Drummondville per le sei.»

Scrollai le spalle. «In genere a quell'ora guardo il canale delle televendite.»

«Brennan, per caso aspetti le mestruazioni?»

«Cosa?»

Miniò una mossa di autodifesa con le mani.

«Passo a prenderti alle sei meno un quarto.»

«Ho già il cuore in subbuglio.»

«Ah... Brennan...» Ryan sollevò il pollice per indicare la testa sul tavolo. «Guarda bene il nostro amico peruviano. Tutta questa acidità che hai in corpo finirà col ridurti così.»

 

Trascorsi il resto della giornata con il nostro amico peruviano. Le radiografie confermarono che il cranio era umano, quindi né di cane né di uccello, le specie in genere utilizzate per i falsi. Scattai qualche fotografia, scrissi il mio referto, quindi telefonai al preside del dipartimento di antropologia alla McGill University, che mi promise di mettermi in contatto con un esperto.

Alle due, Robert Gagné passò nel mio ufficio per dirmi che i profili sarebbero stati pronti a breve. La velocità con cui aveva lavorato sui peli di gatto mi sconvolse, come già era successo con il calco del cranio fatto da Susanne. La polizia aspettava settimane per i risultati dei test sul DNA.

La motivazione di Gagné fu identica a quella di Susanne. Il progetto era particolare, diverso dal solito, e lo intrigava. Avrebbe proseguito.

Alle tre, stavo andando a Saint-Hubert.

Alle quattro e mezza rientravo a casa; sul sedile accanto a me, una replica del cranio della Pensión Paraíso in una scatola. All'approssimazione facciale adesso dovevo pensare io.

Il traffico era intenso e procedevo a singhiozzo, in un alternarsi di frizione, prima, freno, folle e dita tamburellanti sul volante. A poco a poco le soste furono sempre più lunghe. Sul Victoria Bridge mi ritrovai ferma, circondata da quattro corsie di vetrine di concessionario.

Dopo una decina di minuti, il cellulare trillò. Risposi subito, felice per il diversivo.

Era Katy.

«Ciao, mamma.»

«Ciao, piccola. Dove sei?»

«Charlotte. Per quest'anno le lezioni sono finite.»

«Non è tardi per finire le lezioni?»

«Dovevo terminare la mia tesina sui metodi di ricerca.»

Katy frequentava il quinto anno della University of Virginia. Pur essendo una ragazza intelligente, acuta, bella e bionda, mia figlia era incerta su quello che la vita le offriva e non aveva ancora deciso la strategia da adottare.

Ma, del resto, che cosa la vita non le offriva? Su questo mi trovavo d'accordo con il mio ex marito.

«Che cosa stai studiando?»

«Gli effetti della crema di formaggio sulla memoria dei topi.»

La materia fondamentale del corso di Katy era psicologia.

«Risultato?»

«Quella roba gli piace moltissimo.»

«Ti sei iscritta al prossimo semestre?»

«Sissignora.»

«Allora siamo in dirittura d'arrivo?» Pete e io stavamo finanziando dodici semestri a nostra figlia per permetterle di scoprire il senso della vita.

«Sissignore.»

«Sei a casa di tuo padre?»

«Veramente, sono da te.»

«Ah sì?» In genere Katy preferiva la casa della sua infanzia alla mia minuscola abitazione.

«Boyd è con me. Spero che non ci siano problemi.»

«Certo che no. Birdie dov'è?» Avanzai di due metri.

«In braccio. Il tuo gatto non impazzisce per Boyd.»

«No.»

«Ha sempre il pelo gonfio.»

«Tuo padre è fuori?»

«Sì, ma tornano oggi.»

Tornano?

«Ooops.»

«Tranquilla, non c'è problema.»

«Ha una nuova fidanzata.»

«Bene.»

«Ho l'impressione che la taglia del reggiseno sia più alta del suo QI.»

«Non può farci niente.»

«Non le piacciono i cani.»

«Può farci qualcosa.»

«Dove sei?»

«Montréal.»

«Sei in macchina?»

«Sto sfrecciando alla velocità della luce.»

In quel momento stavo procedendo a trenta chilometri all'ora.

«Che cosa stai facendo?» mi chiese.

Le raccontai le novità del mio lavoro.

«Ma perché non usate il cranio vero?»

Le raccontai anche di Díaz e di Lucas e dello scheletro sottratto.

«Ho un professore di sociologia che si chiama Lucas. Richard Lucas.»

«Questo è un Hector.»

Capii che cosa avevo evocato solo dopo aver pronunciato quel nome. A quattro anni, Katy per mesi aveva recitato una filastrocca che adorava. E adesso gliel'avevo ricordata.

«Hector Protector si alza la mattina; Hector Protector va dalla regina...»

«Hector Dissector sarà impiccato sulla collina» la interruppi.

«Ma è bruttissimo.»

«È un primo tentativo.»

«Non farne un secondo. Non bisogna far soffrire la poesia perché tu sei frustrata.»

«Hector Protector non è Coleridge.»

«Quando torni, mammina?»

«Non lo so di preciso. Voglio prima finire quello che ho iniziato in Guatemala.»

«Auguri.»

«Ti sei già trovata un lavoro estivo?»

«Mi sto muovendo.»

«Auguri.»

Gagné chiamò mentre stavo entrando nel vialetto che portava al mio palazzo.

«Abbiamo una corrispondenza.»

Non capii.

«Di che cosa sta parlando?»

Entrai nel garage sotterraneo.

«Stiamo mettendo online la nostra tecnologia mitocondriale, così ho deciso di divertirmi un po'. Innanzitutto ho pensato che potevamo avere più possibilità con un campione molto degradato.»

Premetti il pulsante del telecomando. La porta cigolò, si alzò. Mentre entravo in garage, la voce di Gagné si fece distante, e cominciò a sentirsi in modo intermittente.

«Due dei campioni corrispondono.»

«Ma gliene ho dato solo uno.»

«Nel pacchetto c'erano quattro campioni.» Sentii un fruscio di carta. «Paraíso, Specter, Eduardo, De la Alda.»

Minos doveva aver capito male. Quando l'avevo chiamato per i peli di gatto, volevo che preparasse il campione di quelli trovati sui jeans della fossa settica. Lui invece aveva incluso i campioni del pelo di tutti e quattro i gatti.

Non riuscivo quasi a formulare la domanda.

«Quale campione corrisponde, monsieur Gagné?»

Alle mie spalle la porta del garage cominciò a richiudersi.

La risposta di Gagné mi arrivò confusa. Mi sforzai di capire le sue parole. Ma sentii solo una serie di bip.

Stavo ascoltando il silenzio.

 

19

 

Mi misi a tracolla borsetta e portatile, presi il pacco con il calco di Susanne e velocemente raggiunsi l'ascensore. Arrivata al piano, mi gettai fuori prima ancora che le porte fossero del tutto aperte.

E urtai contro Andrew Ryan.

«Ehi, ehi... dov'è l'incendio?»

Come sempre, la mia prima reazione fu l'irritazione.

«Battuta scontata.»

«Nessuno è perfetto. Che c'è in quel pacco?»

Feci per aggirarlo, ma lui si spostò verso sinistra, sbarrandomi la strada. In quel momento un vicino entrò nell'atrio dal portone principale.

«Bonjour.» L'anziano signore si toccò il cappello con il bastone, rivolse un cenno di saluto a Ryan, poi a me.

«Bonjour, monsieur Gravel» gli risposi, e il vecchio si avvicinò lentamente alla cassetta delle lettere.

Feci un passo a sinistra, Ryan a destra. Il pacco di Susanne riempì lo spazio tra i nostri petti.

Udii una buca per le lettere aprirsi, chiudersi, poi un bastone da passeggio che si allontanava sul pavimento di marmo.

«Devo fare una telefonata, Ryan.»

«Cosa c'è nella scatola?»

«La testa della fossa biologica.»

Il bastone da passeggio si fermò.

Ryan mise le mani sul pacco con il calco.

«Ti prego, ti prego, non farlo» disse alzando la voce in tono supplichevole.

Monsieur Gravel inspirò rumorosamente.

Fulminai Ryan con lo sguardo.

Ryan, con le spalle al vicino, mi sorrise.

«Seguimi» dissi, senza quasi muovere le labbra.

Mentre mi avviavo al mio appartamento, sentii che Ryan si voltava e capii che stava strizzando l'occhiolino a monsieur Gravel. L'irritazione diventò rabbia.

Entrata in casa, posai tutto sul tavolo e presi il portatile.

«Gagné ha appena telefonato con i risultati del test sul DNA del pelo di gatto che ho portato dal Guatemala.»

«È stato gatto Silvestro.»

«Ha trovato una corrispondenza con due dei quattro campioni.»

«Quali quattro campioni?»

Gli spiegai che Minos aveva preparato i campioni del pelo prelevato nelle case degli Specter, degli Eduardo, dei De la Alda, oltre a quello dei peli rimasti sui jeans della Pensión Paraíso. Dopodiché chiamai il laboratorio e premetti il vivavoce.

«Qual è il campione che corrisponde?» domandò subito Ryan.

Quando la centralinista rispose, chiesi di Gagné.

«E quello che vorrei sapere. Il gatto degli Eduardo era già stato scartato.»

«Perché?»

«Persiano.»

«Povero Miao.»

«Si chiama Ranuncolo.»

Gagné rispose al telefono.

«Mi scusi» dissi. «Ma prima ero in garage.»

«Da come la sento, si direbbe che sia ancora lì.»

«Sto parlando con il vivavoce. Con me c'è il tenente Ryan.»

«Ryan si sta occupando del caso?»

«Si occupa sempre di tutto. Potrebbe ripetermi quello che mi stava dicendo prima?»

«Stavo dicendo che ho usato il DNA mitocondriale. Su tre dei campioni nessun problema mentre su quello segnato come PARAÍSO non esiste identificatore follicolare appropriato né sulla radice né sul fusto, pertanto gli esami del DNA genomico non si possono eseguire. Lei mi aveva detto di fare tutti gli esami che volevo.»

In effetti sì... ma intendevo dire che Gagné era libero di fare tutti i suoi esami sul campione della Pensión Paraíso, utilizzandolo completamente perché nei laboratori forensi guatemaltechi avevano altri peli su cui eseguire altri eventuali esami. Non potevo immaginare che il pacchetto di Minos contenesse tutti e quattro i campioni.

«Avrei potuto controllare la presenza di cellule epiteliali sui fusti del campione PARAÍSO, ma dato il contesto, dubito che ne avrei trovate molte» proseguì Gagné.

«Sul DNA mitocondriale i gatti hanno regioni polimorfiche?» domandai.

«Esattamente come gli umani. Un genetista dei felini di un istituto di ricerca degli Stati Uniti ha condotto delle ricerche su questa materia e ha ottenuto dati statistici molto interessanti sulla variabilità della popolazione.»

Ryan si era portato un dito vicino alla tempia e stava fingendo di premere un grilletto.

«Qual era la corrispondenza, monsieur Gagné?»

Fruscio di carta. Trattenni il respiro.

«Il campione PARAÍSO aveva lo stesso profilo del campione SPECTER.»

Ryan smise di fumare e fissò il telefono.

«Intende dire che i due campioni erano coerenti?»

«Intendo dire che erano identici.»

«La ringrazio.»

Riagganciai la cornetta.

«Puoi rimettere la pistola nella fondina.»

Ryan interruppe la scenetta della pistola e mise le mani sui fianchi.

«Come può essere sicuro che c'è corrispondenza?»

«È il suo lavoro.»

«Quei peli sono stati in quella caspita di fossa biologica.» Dal tono di Ryan traspariva un certo scetticismo.

«Sai niente del DNA?»

«Ho la sensazione che quello che non so lo imparerò adesso.» Sollevò una mano rivolgendo il palmo verso di me. «Ti prego, la versione di cinque minuti.»

«Sai che aspetto ha una molecola di DNA?» domandai.

«Una scala a forma di spirale.»

«Molto bene. Gli zuccheri e i fosfati formano il corrimano, mentre le basi formano i gradini. Come posso semplificare la spiegazione per renderla a te comprensibile?»

Ryan aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo bloccai.

«Pensa alle basi come a mattoncini Lego di solo quattro colori. Se c'è un mattoncino rosso sulla metà di un gradino, c'è sempre un mattoncino blu sull'altra metà. Il verde invece è sempre con il giallo.»

«E non tutti hanno gli stessi colori nell'identica successione.»

«Non sei così scemo come sembri, Ryan. Quando esistono variazioni multiple per una sequenza di gradini, si parla di polimorfismo. Quando la sequenza può presentarsi con un elevatissimo numero di varianti, anche centinaia, si parla di regioni ipervariabili.»

«Come Manhattan.»

«Vuoi che ti spieghi tutto in cinque minuti o no?»

Ryan sollevò entrambe le mani.

«Le variazioni, o polimorfismi, possono verificarsi nella sequenza dei colori, o nel numero di volte in cui questi colori si ripetono tra una coppia di gradini specifici. Mi segui?»

«Un certo frammento può variare in termini di struttura o in termini di lunghezza.»

«La prima tecnica adottata per le analisi forensi del DNA si chiamava RFLP, Restriction Fragment Length Polimorphism, o più semplicemente polimorfismo di restrizione. Le analisi RFLP determinano la variazione della lunghezza in uno specifico frammento del DNA.»

«E producono quella cosa che sembra il codice a barre dei supermercati.»

«Si chiama autoradiogramma. Purtroppo, I'RFLP richiede una qualità di DNA migliore di quella normalmente reperibile sulla scena di un delitto o di un recupero... Questo è il motivo per cui il test della PCR ha segnato una vera svolta.»

«Sarebbe il test basato sull'amplificazione.» «Esattamente. Senza scendere nei particolari...» «Però a me piace un casino quando dici le porcherie.» Ryan mi sfiorò il naso. Io gli allontanai malamente la mano.

«La PCR, o reazione a catena della polimerasi, è una tecnica per aumentare la quantità di DNA disponibile per le analisi. Una sequenza specifica di gradini di Lego viene copiata milioni di volte.»

«Praticamente si fanno delle fotocopie genetiche.» «Però a ogni giro il numero delle copie raddoppia, sicché il DNA aumenta in progressione geometrica. Lo svantaggio delle analisi PCR è che questa tecnica permette di identificare meno regioni variabili, ciascuna delle quali tende a mostrare meno variazioni.»

«Quindi siete in grado di utilizzare la PCR con DNA in peggior stato, ma il potere di discriminazione è inferiore.»

«Storicamente, l'esperienza ha dimostrato questo.» «E com'è questa storia del mitocondriale?» «Le procedure RFLP e PCR, e anche altre, utilizzano il DNA genomico, che risiede nelle cellule del nucleo. Altre porzioni di materiale genetico si trovano nei mitocondri, i piccoli organuli che in pratica costituiscono le centrali energetiche di una cellula. Il genoma mitocondriale è più ridotto, appena poco più di sedicimila basi, e forma un cerchio, non una scala. Su quel cerchio ci sono due regioni che sono altamente variabili.»

«Qual è il vantaggio?»

«Il DNA mitocondriale è presente in centinaia di migliaia di copie per ogni cellula, quindi può essere estratto da campioni piccoli e degradati in cui il DNA genomico è scomparso da tempo. I ricercatori hanno trovato il DNA mitocondriale nelle mummie dell'antico Egitto.»

«Dubito che il tuo pozzo nero sia stato costruito dai faraoni.»

«Stavo cercando di rendere la cosa un po' più comprensibile.»

Pensai a un esempio migliore.

«Recentemente il DNA mitocondriale è stato utilizzato per stabilire che alcuni scheletri esumati in Russia fossero quelli dello zar Nicola e della sua famiglia.»

«Come?»

«Il DNA mitocondriale si trasmette solo per linea materna.»

«Quindi vuoi dire che tutto viene dalla nostra mammina?»

«Spiacente di averti distrutto un mito, Ryan.»

«Allora il genere sessuale a cui appartengo conta come il due di picche.»

«I ricercatori hanno confrontato il DNA delle ossa russe con il DNA ricavato dai parenti ancora in vita, in particolare il principe Filippo d'Inghilterra.»

«Il marito della regina Elisabetta?»

«La nonna materna del principe Filippo era la sorella della zarina Alessandra, quindi Alessandra e i suoi figli e Filippo, hanno ereditato il DNA mitocondriale dalla madre di Alessandra e della sorella.»

«Torniamo ai gatti.»

«Il pelo del gatto non ha nuclei, quindi niente DNA genomico. Ma il DNA mitocondriale è presente nei fusti del pelo.»

«Gagné parlava di cellule epiteliali.»

«Quelle presenti nella saliva, pelle, bocca, vagina. Sui peli del gatto è facile trovare la saliva per il fatto che si leccano in continuazione per pulirsi. Le cellule epiteliali si trovano anche nelle urine e nelle feci. In questo caso condivido il pessimismo di Gagné rispetto alla presenza di cellule epiteliali.»

«Insomma, nella pipì e nella pupù le probabilità di trovare queste cellule sono poche.»

«Secondo Gagné, le sequenze mitocondriali del gatto degli Specter erano identiche a quelle trovate sui peli della fossa biologica.»

«Questo significa che la vittima della Pensión Paraíso aveva contatti con il gatto degli Specter.»

«Proprio così.»

«Però noi sappiamo che la ragazza nel pozzo nero non è Chantale.»

«Bene, Ryan. Voi poliziotti siete davvero bravi in queste cose.»

«La vittima è qualcuno che ha frequentato la casa degli Specter, o che almeno è stato in contatto con il loro gatto.»

«Prima dello scorso Natale.»

Ryan mi guardò con aria interrogativa.

«Quando Guimauve è andato a fare il morto in piscina.»

Ryan rifletté un secondo, poi: «Credo che la piccola Chantale sappia più di quello che vuol far credere».

«In effetti qualcuno che sappia qualcosa ci deve essere» risposi.

«La signora Specter?»

Scrollai le spalle.

Ryan e io ci fissammo, ognuno immerso nei propri pensieri.

«Non ho visto l'ambasciatore» dissi.

«Dov'è?»

«A discutere dei raccolti di soia a Ciudad de México.»

«Strano, visto l'ultimo arresto della figlia.»

«Galiano dice che gli Specter non hanno denunciato subito la scomparsa di Chantale. E una volta che la polizia ha cominciato a indagare, l'ambasciatore non è stato molto collaborativo.»

«Con Micio le cose appaiono sotto una luce del tutto nuova.»

 

Situato a ovest di Centre-Ville, il quartiere di Westmount sale verso le montagne con una serie di viali ombrosi. Detestato dai separatisti québequois, Westmount è noto per la sua alta concentrazione di anglofoni e per la radicata vocazione federalista. Prima che l'isola di Montréal fosse riorganizzata dal punto di vista amministrativo - e prima che molti quartieri periferici e sobborghi dell'hinterland ricadessero sotto la giurisdizione della Communauté Urbaine de Montréal - Westmount si vantava della sua indipendenza, delle tasse inferiori, della gestione iperefficiente e del buon gusto dei suoi abitanti.

Westmount si batté lungamente per non essere assorbito nella Grande Montréal. Di fronte alla sconfitta, la cittadinanza si ritirò tra i suoi cachemire e i suoi visoni, si fece aumentare la puzza sotto i ricchissimi nasi e attese fiduciosa che qualche cittadino residente lavasse l'onta ricorrendo in appello.

Stavano ancora aspettando.

Ryan uscì dal tunnel ad Atwater, svoltò a sinistra sul Boulevard, a destra, e iniziò a risalire la collina, mentre io osservavo le case farsi sempre più grandi, immaginando il panorama della città e del fiume così come dovevano goderlo i proprietari di quei solarium e di quelle verande.

Westmount è come Hong Kong: più si sale, migliori sono le abitazioni.

La casa degli Specter era una delle più grandi di Westmount, una sorta di torreggiante fortezza di pietra, completa di torrette, grate e portone in quercia massiccia. Un'alta siepe di cipressi impediva a chiunque di vedere all'interno dal fronte della proprietà. La vista dalla parte posteriore doveva essere magnifica.

«Non male, la catapecchia» disse Ryan, accostando al marciapiede.

«La signora Specter la chiama la loro "casetta".»

«Un understatement pieno di arroganza. Decisamente molto Westmount.»

«La signora Specter è di Charlevoix.»

Ryan suonò il campanello.

«Quanto prende un ambasciatore?» domandò Ryan sottovoce.

«Meno di quanto si potrebbe pensare, sono sicura. Gli ambasciatori in genere non svolgono il loro incarico per denaro. Piuttosto usano il denaro per ottenere l'incarico.»

Aspettammo almeno un minuto, poi Ryan suonò di nuovo.

Quando la signora Specter arrivò alla porta, ebbi uno shock. Nonostante fard e rossetto, era bianca come un lenzuolo, e i capelli ramati erano raccolti, anche se qualche ciocca ribelle le ricadeva dietro gli orecchi e sul collo.

«No, scusate. E successo qualcosa.» Si portò una mano al petto. «In questo momento non mi è possibile ricevervi.»

Fece per chiudere la porta, ma Ryan appoggiò un palmo contro il battente.

«Vi prego, ho una forte emicrania.»

«Non vogliamo disturbarla, signora Specter.» Le scoccò il suo sorriso da chierichetto. «Vorremmo solo vedere Chantale.»

«Non posso permettervi di assillare mia figlia.» Aveva la voce rotta, le nocche bianche strette intorno alla maniglia.

«Saremo molto rapidi» dissi io.

«Chantale sta dormendo.»

«La svegli, per favore.»

«Non sta bene.»

«Mal di testa?» La voce di Ryan appariva lievemente alterata.

«Anch'io soffro di emicrania» intervenni. «E so come si sente. Per favore, ci mandi giù Chantale, e poi torni pure a letto.»

«No, grazie.»

La risposta non aveva senso. Osservai meglio la signora Specter. Le sue pupille erano grosse come un tumbler da cocktail. La moglie dell'ambasciatore doveva aver trangugiato un sedativo molto potente.

«Il signor Specter...»

Mi interruppe con un cenno della mano.

«Suo marito c'è, signora Specter?»

«Qui?»

«Il signor Specter è in casa?»

«Qui non c'è nessuno.»

«Nessuno?»

La signora Specter scosse la testa, e capì il suo errore.

«A parte Chantale.»

Ryan e io ci scambiammo un'occhiata.

«Dov'è andata?» domandai, mettendo una mano sopra le sue.

«Chi?»

«Chantale è scappata, vero?»

Abbassò la testa, annuì ancora.

«Le ha detto dove stava andando?»

«No.» La luce del lampadario dell'ingresso evidenziò le rughe di preoccupazione che le solcavano il viso.

«Le ha telefonato?»

«No» rispose senza guardare.

«Lei sa dov'è andata?»

«No.» La sua voce sembrò arrivare da un'altra galassia.

«Signora Specter?» la sollecitai.

La donna sollevò la testa e guardò oltre, verso la siepe di cipressi.

«Chantale è fuori con persone che le faranno del male. Ed è arrabbiata. Chantale è molto, molto arrabbiata.»

Tirò un respiro incerto, poi spostò lo sguardo dai cipressi a me.

«Siamo stati io e suo padre a farle questo. La mia relazione. I suoi giochetti per vendicarsi. Come potevamo pensare che questo non avrebbe avuto effetti su nostra figlia? Se potessi tornare indietro, mi comporterei in modo completamente diverso.»

«Nessun genitore è perfetto, signora.»

«Non tutti però spingono i loro figli verso la droga.»

Difficile contestare quella affermazione.

«Le viene in mente qualcosa che potrebbe aiutarci a ritrovare sua figlia?»

«Come?»

Ripetei la domanda.

La signora Specter frugò la zona del cervello che era rimasta in funzione.

«Mi spiace» disse. «Mi spiace.»

«Possiamo vedere la sua stanza?» domandò Ryan.

Accennò un gesto di assenso, si voltò e ci accompagnò su una scala di legno intagliato fino a un corridoio al primo piano.

«La camera di Chantale è la prima sulla sinistra. Adesso devo andare a sdraiarmi.»

«Usciremo da soli, signora, non si preoccupi» dissi.

La stanza era buia, ma centinaia di puntini luminosi risplendevano sul soffitto sopra il letto di Chantale. Li riconobbi subito. Quando Katy aveva compiuto quattordici anni, ne avevamo comprato un'intera confezione e avevamo passato il pomeriggio a creare un cielo stellato. In seguito lei aveva aggiunto il Sistema Solare. Katy trascorreva ore intere sdraiata a letto a osservare il suo cielo sognando di mondi lontani. Mi chiesi chi avesse decorato quel soffitto, la madre o la figlia?

Le stelle scomparvero quando Ryan accese la luce.

La stanza era decorata in cotone a quadretti gialli e cordoncino bianco. Il letto a baldacchino era coperto di bambole e cuscini di pizzo. Sul pavimento c'era un costume da orango di pezza dagli occhi lucidi e vuoti. Altre bambole e animaletti di peluche sul davanzale della finestra e sulla sedia a dondolo.

Su uno dei comodini c'era un telefono cordless, sull'altro una radiosveglia e un lettore CD. L'armadio dipinto di fronte al letto sembrava da solo più costoso di tutto il mobilio di casa mia.

Mentre Ryan si avvicinava al computer, io aprii l'armadio. L'interno di ciascun battente era coperto da un poster. A destra, White Trash Two Heebs & a Bean scarabocchiato su quattro pance. A sinistra, Punk Rock On-Girls Kick Ass.

All'interno, libri, un televisore, una fornita collezione di CD. Diedi un'occhiata ai gruppi. Dropkick Murphys, Good Riddance, Buck-O-Nine, AFI, Dead Kennedys, Rancid, Saves the Day, Face to Face, The Business, Anti-Flag, The Clash, Less Than Jake, The Unseen, The Aquabats, The Vandals, NFG, Stiff Little Fingers e molti CD dei NOFX.

Mi sentii vecchia come Matusalemme. Non avevo mai sentito parlare di uno solo di quei gruppi.

I libri erano in francese e in inglese. Anna Karenina di Tolstoj. Il ritorno di Merlino di Deepak Chopra. Guida galattica per l'Autostoppista di Douglas Adams. Père manquant, fils manqué di Guy Corneau. Anna dai capelli rossi. Diversi Harry Potter.

Mi sentii un po' meglio.

«Messaggi misti» disse Ryan, premendo il pulsante di accensione del computer.

«Pensi che la ragazza sia in piena crisi di identità?»

La stanza era un miscuglio schizoide di capricci di ragazzina, rabbia adolescenziale e curiosità adulta. Cercai di immaginare Chantale in quel contesto. Avevo già conosciuto il suo lato punk, visto la foto «il mio paparino è il più bravo di tutti», ma non avevo nessuna idea della vera Chantale, non sapevo chi era la ragazza che abitava in quella stanza.

Udii il bip del disco rigido e il ronzio del suo avvio.

A Chantale piaceva quel cotone a quadrettini? Aveva chiesto lei di avere tutte quelle bambole? Aveva visto il suo orango in un catalogo di acquisti per corrispondenza e aveva insistito per averlo? Lo indossava a carnevale? Fissava il suo cielo stellato di notte, pensando a che cosa la vita aveva in serbo per lei? Aveva chiuso gli occhi, delusa da quello che finora aveva visto?

Si avviò Windows. Ryan manovrò il mouse, digitò qualcosa. Poi qualcos'altro. Quando mi avvicinai, notai che aveva aperto America On Line, e stava cercando di trovare la password giusta.

Provò un'altra combinazione di tasti.

AOL lo informò che la scelta non era valida e suggerì di riprovare.

«Così ci vorrà una vita» dissi.

«Gran parte dei ragazzi non sono complessi.»

Provò con il nome dei membri della famiglia, poi con le loro iniziali, le iniziali in ordine inverso, poi in varie combinazioni.

Niente da fare.

«Quand'è il suo compleanno?»

Glielo dissi. Ryan provò le cifre nella sequenza corretta e poi al contrario, AOL non cedeva.

«Il gatto come si chiamava?»

«Guimauve?»

«Marshmallow?»

«Non guardare me. Non l'ho scelto io.»

G-U-I-M-A-U-V-E

AOL disse di no.

E-V-U-A-M-I-U-G

Comparve la schermata di benvenuto, e una voce melodiosa annunciò posta per Chantale.

«Sono un genio.»

«Ma se non sapevi neanche il nome del gatto.»

Ryan fece clic su un'icona e la casella postale di Chantale comparve sullo schermo. Aveva due e-mail non lette. Le studiammo in silenzio. Entrambe erano state scritte da compagne di scuola di Ciudad de Guatemala.

Ryan passò su POSTA INVIATA. Da quando il venerdì era stata rilasciata, Chantale aveva spedito sette messaggi a metalass@hotmail.com. In tutti parlava della sua infelicità e implorava aiuto. Si era anche rivolta a Dirtdoggy, Rambeau, Bedhead, Sexychaton e Criperçant.

La POSTA IN ARRIVO conteneva due messaggi, uno datato il giorno prima, l'altro il giorno stesso alle tre del pomeriggio. Erano entrambi di Metalass. Ryan aprì il primo dei due.

 

cazzo se sono contento che sei tornata. dirt e rambeau sono sotto. the head si è squagliato a ovest. telefona. c'hai degli amici.

 

«Splendido» commentò Ryan, facendo clic sul secondo messaggio. «Il tipo è un fan di James Taylor.»

 

cambio di programma. da tim. guy. alle otto. se scotta, vai da clem.

 

«Credi che Clem, Tim e Guy potrebbero essere i cyberpunk a cui ha spedito le mail?» Ryan era immerso nei suoi pensieri.

Presi il telefono di Chantale e premetti il tasto per ripetere l'ultimo numero.

Niente.

Guardai l'orango, e mi venne voglia di strapazzarlo per fargli spifferare dov'era andata la sua padrona.

Ryan spense il computer e si alzò.

«Qualche idea?» domandai.

«La migliore. Forza, andiamo.»

 

20

 

«Qual è il programma?» domandai mentre Ryan svoltava sulla Sherbrooke.

«Cannelloni a La Transition.»

Lo guardai.

«E poi prendiamo il bread pudding. Fanno un bread pudding da sballo.»

«Credevo andassimo a cercare Chantale.»

«E poi ciambelle.»

«Ciambelle?»

«A me piacciono quelle con i pezzettini di cioccolato sopra.»

Prima che potessi rispondere, imboccò la Grosvenor, parcheggiò, fece il giro dell'auto e mi aprì la portiera. Quando scesi sul marciapiede, mi prese sottobraccio e mi condusse verso il ristorante all'angolo.

Il mistero cominciava a seccarmi. Mi impuntai.

«Che cosa sta succedendo?»

«Fidati.»

«Non vorrei guastarti l'appetito, Ryan, ma dobbiamo cercare Chantale.»

«Lo faremo.»

«Con ciambelle e cannelloni?»

«Vuoi fidarti o no?»

«Qual è il problema?» mi liberai dal suo braccio. «Forse non posso venire a conoscenza delle informazioni d'archivio della polizia?»

Una donna con gli occhiali a forma di bottiglia di Coca-Cola si avvicinò con un terrier che sembrava più un topo che un cane. Nel sentire il mio tono, accorciò il guinzaglio, abbassò lo sguardo e affrettò il passo.

«Stai spaventando gli abitanti del quartiere. Entriamo e poi ti spiego.»

Socchiusi gli occhi, ma lo seguii. Sulla porta, per una frazione di secondo rividi nella mente la mia cena con Galiano al Gucumatz. Se il maître ci avesse dato un posto in una nicchia, mi sarei alzata e sarei andata via.

Il locale era un tipico ristorante italiano. Luci soffuse, boiserie sulle pareti, lino bianco sui tavoli. Una ragazza ci condusse a un tavolo vicino alle vetrate che davano sulla strada, non senza scoccare a Ryan un radioso sorriso.

Ryan rispose con un altro sorriso, e ci sedemmo.

«Sai chi è Patrick Feeney?»

«Diciamo che non ci mandiamo gli auguri di Natale.»

«Gesù, Brennan, quanto sai essere rompiballe.»

«Faccio del mio meglio.»

Ryan sospirò per comunicare la sua infinita pazienza.

«Hai mai sentito parlare di Chez Tante Clémence?»

«È un ricovero per ragazzi di strada.»

Un'altra cameriera ci portò i menu e altri sorrisi a trentadue denti, riempì i bicchieri di acqua e ci domandò che cosa prendevamo da bere. Optammo entrambi per una Perrier.

Ryan ignorò il suo menu.

«I cannelloni sono ottimi.»

«Così ho sentito dire.»

Quando la cameriera tornò, io ordinai linguine con pesto alla genovese, Ryan rimase della sua idea. Tutti e due prendemmo anche una piccola Caesar, un'insalata di spinaci, capperi, acciughe, aglio e grana.

Mentre mangiavamo l'insalata non ci fu molta conversazione. Io guardavo fuori delle vetrate, osservando il giorno che soccombeva alla sera.

Dai marciapiedi e dai cortili della Grosvenor i bambini erano scomparsi, richiamati in casa per la cena o per i compiti. Sui balconi e nelle case che fiancheggiavano i due lati del marciapiede brillavano già le luci.

Lungo la Sherbrooke, le banche e le aziende stavano chiudendo, i negozi si stavano svuotando. Ovunque brillavano le insegne al neon, anche se gran parte dei locali notturni erano ancora chiusi.

I pedoni affrettavano il passo, percependo il freddo promesso dal crepuscolo. Pensai a Chantale Specter. Verso quale destinazione stava dirigendosi, in quella sera in embrione?

Quando arrivò la portata principale, e dopo averla condita con pepe e formaggio, Ryan riprese a parlare.

«La Tante Clémence è diretta da un prete sospeso a divinis chiamato Patrick Feeney. Nella struttura Feeney non permette l'uso né di droghe né di alcol, ma a parte questo i ragazzi sono liberi di entrare e uscire. Da lui trovano cibo e un posto per dormire. Se un adolescente vuole parlare, Feeney ascolta. Se chiedono di essere aiutati da qualcuno, lui li indirizza verso la persona giusta. Niente sermoni. Niente coprifuoco. Niente porte chiuse.»

«Sembra un posto piuttosto libero per le abitudini della Chiesa cattolica.»

«Infatti ho detto che Feeney è un prete che non è più un prete. È stato licenziato dal sacerdozio anni fa.»

«Perché?»

«Da quel che ricordo, il padre aveva una fidanzata, la Chiesa gli ha detto di scegliere. Feeney ha deciso di lasciar perdere la riabilitazione ecclesiastica e si è messo per conto suo.»

«Chi paga i conti?»

«Clem prende un po' di soldi dal comune, ma per lo più i finanziamenti arrivano dalla beneficenza e da donazioni private. Feeney può contare su moltissimi volontari.»

Qualcosa nella mia testa trillò.

«Quindi pensi che Clem stia per Tante Clémence.»

«Ti ho detto che in queste cose sono bravo.»

Un altro trillo.

«E Tim è il negozio di ciambelle Tim Hortons, sulla Guy.»

«Nemmeno tu te la cavi male, Brennan.»

«Quindi stiamo ammazzando il tempo in attesa dell'appuntamento con Metalass.»

Guardammo tutti e due l'orologio. Erano le sei e cinquantotto.

 

I cittadini comuni credono che gli appostamenti siano un lavoro tutto adrenalina e nervi a fior di pelle. In realtà, gran parte di questi turni di sorveglianza sono eccitanti come il Metamucil.

Trascorremmo due ore a osservare il Tim Hortons, Ryan dall'auto, io da una panchina del parco. Vidi i pendolari entrare e uscire dalla stazione della metropolitana sulla Guy. Vidi gli studenti uscire dalle lezioni serali alla Concordia University. Vidi i vecchietti dar da mangiare ai piccioni sotto la statua di Norman Bethune. Vidi giocatori di frisbee e accompagnatori di cani. Vidi uomini di affari, vagabondi, suore ed elegantoni.

L'unica persona che non vidi fu Chantale Specter.

Alle dieci Ryan mi chiamò al cellulare.

«Si direbbe che la nostra piccolina ci abbia dato buca.»

«Non potrebbe essere che Metalass ci ha visti e l'ha avvertita?»

«Sospetto che Metalass abbia l'intelligenza di un fagiolino lesso.»

«Avrebbe dovuto avere la pazienza di Giobbe per aspettare tutto questo tempo.»

Mi guardai intorno. L'uomo che ciondolava vicino a Tim Hortons poteva avere sessantacinque anni. Davanti al Java U, sul Boulevard de Maisonneuve, vari bevitori di frappé potevano corrispondere a Metalass, ma nessuno sembrava interessato al negozio di ciambelle.

«E adesso?»

«Aspettiamo un'altra mezz'oretta. Se non si fa vedere, ci spostiamo da Clem.»

Il piccolo triangolo dov'ero seduta era un'isola in mezzo al Boulevard de Maisonneuve e in mezzo al traffico delle auto che sfrecciavano su tutti i lati. Senza rendermene conto, iniziai a contare. Uno. Sette. Dieci.

Bene, Brennan. Davvero avvincente.

Guardai l'orologio. 22.05.

Perché Chantale non si era presentata all'appuntamento con Metalass? Oppure era arrivata, mi aveva riconosciuta e se n'era andata?

Una famiglia asiatica si avvicinò al locale. La donna aspettò fuori con un neonato e un bimbetto nel passeggino mentre l'uomo entrava a comprare le ciambelle.

Guardai di nuovo l'orologio. 22.10.

O magari non l'avevo vista. Si era nascosta fino all'arrivo di Metalass, poi gli aveva fatto un segnale? Era venuta travestita?

Guardai verso l'incrocio. Ryan mi guardò a sua volta, e mi fece un cenno con la testa, lentamente.

Due uomini entrarono da Tim Hortons vestiti come una pubblicità di Hugo Boss. Attraverso la vetrina li vidi scegliere e poi acquistare una dozzina di ciambelle. Due donne anziane bevevano il caffè sedute in un divanetto interno. Tre ubriaconi discutevano a uno dei tavoli esterni.

22.17.

Ciambelle per un gruppo di studenti. Controllai ogni volto. Chantale non era tra loro.

«Pronta?»

Alzai lo sguardo. Le luci al neon illuminavano la periferia dei capelli di Ryan, ma il cielo era buio e senza stelle.

«È ora di fare un giretto?»

«È ora di fare un giretto.»

Chez Tante Clémence si trovava sul Boulevard de Maisonneuve, due isolati a est del vecchio Forum. Il centro era una casa a due piani in arenaria rossa vicina ad altre due case simili, ciascuna decorata con rifiniture in legno dipinto a colori vivaci. Nel trittico arcobaleno, Clémence era il color lavanda.

Ma l'impresa che si era occupata della ristrutturazione non si era limitata alle rifiniture.

La veranda era giallo senape, le intelaiature delle finestre rosso ciliegia. Le seconde ospitavano esemplari di vegetazione morta, la prima un sottoinsieme del gregge di Feeney.

Due ragazze si dipingevano le unghie dei piedi sedute accanto a un'uscita di sicurezza al primo piano. Tutt'e due avevano i capelli corti e castani, folta frangetta, pantaloni alla pescatola, e una tale superficie di pelle coperta da piercing da autorizzare un risarcimento post chirurgico.

Laverne e Shirley si son fatte punk. Il duo sospese il pedicure, per osservare il nostro arrivo.

Le persone sulla veranda ci guardarono arrivare dai gradini, sigarette a penzoloni tra le labbra o tra le dita. Le acconciature dei capelli comprendevano una Statua della Libertà, un Mr T, due Sir Galahad, e unajanis Joplin. Nonostante fosse troppo buio per individuare le facce, tutti e cinque potevano aver fatto la scuola materna quando il muro di Berlino era caduto.

Notai la statua dare di gomito a Mr T e questi rispondere con un commento che fece scoppiare tutti a ridere.

«Bonsoir» salutò Ryan dal marciapiede.

Nessuna risposta.

«Salve.» Riprovò in inglese.

Dall'interno, udii il suono intermittente dei Sex Pistols, come se qualcuno stesse alzando e abbassando per gioco il volume.

«Stiamo cercando Patrick Feeney.»

«Perché?» Mr T portava un gilè di pelle sul petto nudo e senza peluria. «Il nonno ha vinto alla lotteria?»

«No, è stato candidato al Premio Nobel» disse Ryan senza umorismo.

Mr T si allontanò dalla ringhiera e si parò davanti a Ryan con le gambe aperte e i pollici infilati nei passanti dei jeans.

«Avete svegliato il can che dorme» disse la Statua, scrollando la cenere per terra. «Pessima mossa.»

Mentre Mr T sembrava aver bisogno di azione, la Statua sembrava voler solo un po' di attenzione. La sua raggiera di capelli era spruzzata di colori che al buio non riuscivo a distinguere, e da una narice gli partiva una catena che finiva al lobo dell'orecchio della sua compagna.

Ryan si avvicinò e sventolò il tesserino in faccia a Mr T.

«Patrick Feeney?» ripeté con voce di granito.

Mr T abbassò le mani, e le dita si strinsero in un pugno. Janis Joplin gli abbracciò una gamba.

«A l'intérieur» disse. All'interno.

«Merci.»

Ryan avanzò e il gruppo si spostò di un millimetro. Riuscimmo a passare, attenti a non pestare mani né piedi. Mi sentii dieci occhi puntati sulla schiena.

Sulla porta d'ingresso brillava un'unica lampadina. Il pavimento della veranda era imbarcato, ma sotto la luce fioca notai che le assi vecchie erano rinforzate da assi nuove. In una cassetta per le piante la terra era stata smossa e da un lato spuntava un letto di calendule. Forse Chez Tante Clémence non sarebbe mai comparso su una rivista di case e arredamento, ma si vedeva che era un luogo curato.

L'interno della casa era all'altezza dell'esterno. Color lavanda per le parti in legno, semplici murales sulle pareti. Animali. Fiori. Tramonti. I colori erano quelli dei tubetti di tempera che usavo durante le ore di educazione artistica alle medie. I mobili erano stile Esercito della Salvezza, il linoleum diverso in ogni stanza.

Ryan e io attraversammo un soggiorno con molti divani fatti come futon, superammo una scala di legno sulla sinistra e imboccammo un corridoio che si allungava perpendicolare alla facciata della casa e su cui si affacciavano le camere da letto. Ciascuna arredata con malconci cassettoni e tra i quattro e i sei letti, o anche brandine. In una stanza vidi la luce azzurrina di un televisore, e udii il tema di Law and Order.

A metà corridoio c'era la cucina, oltre la cucina, vidi una sala da pranzo sulla sinistra e altre due camere da letto sulla destra.

Feeney era inginocchiato in cucina, e stava aiutando una versione teen-ager dei Metallica a montare, o smontare, un modellino di aereo.

Come i camaleonti africani, che diventano verdi e oscillano per imitare le foglie, così molti operatori sociali che lavorano con i giovani spesso tendono ad assomigliare ai loro assistiti. E quindi jeans, code di cavallo, sandali Birkenstock, anfibi... Il travestimento serve a confondersi meglio con la teppaglia.

Ma non Feeney. Con i suoi occhiali di tartaruga, e i folti capelli bianchi divisi da una scriminatura dritta come una pista di atterraggio, avrebbe potuto confondersi solo con gli anziani di un ospizio. Indossava un cardigan lavorato ai ferri, una camicia di flanella e dei pantaloni grigi.

Sentendo i nostri passi, Feeney si voltò.

«Posso aiutarvi?»

Ryan mostrò il tesserino.

«Tenente Andrew Ryan.»

«Sono Patrick Feeney. Dirigo questo centro.»

Feeney mi guardò. I Metallica fecero altrettanto. Per un attimo mi aspettai che tutti e quattro si mettessero a cantare Die, Die My Darling.

«Tempe Brennan» mi presentai.

Feeney annuì tre volte, più a se stesso che a noi. Dietro di lui, i ragazzi guardavano con un'espressione a metà tra il curioso e l'ostile.

Due ragazze comparvero su una delle porte del corridoio. Avevano entrambe capelli biondi e unti, e l'aria di chi mangia troppe patate. Una indossava jeans e una felpa UBC, l'altra una gonna lunga stile country a vita molto bassa. Vista la stazza, era una pessima scelta.

Feeney si alzò con una certa fatica. I Metallica scattarono come un sol uomo per aiutarlo. Feeney si avvicinò a noi, camminando con i piedi molto distanti, come le persone afflitte dalle emorroidi.

«Come posso aiutarla, tenente?»

«Stiamo cercando una ragazza che si chiama Chantale Specter.»

«C'è qualche problema?»

«Chantale è qui?» domandò Ryan.

«Perché?»

«È una semplice domanda, padre.»

Feeney sembrò leggermente risentito. Con la coda dell'occhio vidi la ragazza con la gonnellona andare via. Qualche attimo dopo, la porta d'ingresso si aprì e si richiuse.

Uscii dalla cucina e andai rapidamente nel soggiorno. Attraverso la finestra, vidi che sulla veranda erano rimasti solo Mr T e la Statua. La ragazza con la gonnellona stava parlando con loro. Dopo un breve scambio di battute, Mr T gettò via la sigaretta e tutti e tre si avviarono verso il Boulevard de Maisonneuve. Aspettai che si allontanassero a sufficienza per non essere vista, e li seguii.

 

I Canadiens non ebbero molta fortuna con le loro prime sistemazioni. Dal 1909 al 1910 la squadra di hockey aveva sede nella Westmount Arena, all'incrocio tra la Sainte-Catherine e la Atwater. Ma quando il campo fu distrutto da un incendio, gli Habs dovettero tornare alle radici, nella zona orientale della città. In seguito a un altro incendio, fu rapidamente costruita la Mont-Royal Arena e i ragazzi pattinarono lì per i successivi quattro anni. Nel 1924, venne inaugurato il Forum, di fronte all'antico palazzo del ghiaccio. Lo stadio venne completato in soli centocinquantanove giorni e costò un milione e duecentomila dollari. Nella giornata di apertura i Canadiens stracciarono i Toronto St. Pats sette a uno.

In Canada l'hockey è lo sport nazionale. Nel corso degli anni, il Forum acquisì l'aura di un luogo sacro. E più aumentava il numero delle Stanley Cup conquistate, più la sacralità aumentava. Ma... venne il giorno in cui gli amministratori ebbero bisogno di più posti a sedere. E gli Habs di armadietti migliori.

La squadra giocò la sua ultima partita al Forum l'undici marzo 1996. Quattro giorni dopo cinquantamila abitanti di Montréal si riunirono per la parata del «giorno del trasloco». Il 15 marzo gli Habs giocarono la partita inaugurale nel nuovo Molson Forum, sconfiggendo i New York Rangers quattro a due.

E forse era stata l'ultima partita che quei lavativi avevano vinto, pensai mentre percorrevo il Boulevard de Maisonneuve.

Il vecchio Forum era rimasto vuoto per un po' di tempo, triste, abbandonato, una bruttura che si ergeva al margine occidentale della città. Nel 1998, la Canderel Management comprò il progetto, fece entrare la Pepsi come sponsor, e iniziò un'imponente ristrutturazione. Tre anni dopo, l'edificio riaprì con il nome di Centre de Divertissement du Forum Pepsi, passando dallo sport al cibo e all'intrattenimento.

Così, dove un tempo i bagarini offrivano posti in prima fila a bordo pista, e dove broker e camionisti sgomitavano per una birra, oggi i non ancora trentenni sorseggiano Smirnoff Ice e giocano a bowling in corsie che diffondono la musica. Il centro di divertimenti contiene un cinema multisala con ventidue schermi, enoteca, ristoranti, una palestra di roccia, e un altare su grande schermo che rende omaggio ai vecchi tempi.

Mr T, la Statua e la ragazza in gonnellona svoltarono a sinistra su Rue Lambert-Closse, ed entrarono nel Forum sul lato della Sainte-Catherine. Li seguii a dieci metri di distanza.

Tenendo d'occhio la cresta della Statua, pedinai il trio passando tra un gruppetto di giocatori di bowling e spettatori di cinema che aspettavano nell'atrio. Osservai la cresta salire al primo piano con la scala mobile, e scomparire da Jillian's. La seguii.

Il lato destro del ristorante era stipato di tavoli e divanetti. Benché gli avventori fossero pochi, gli sgabelli davanti al bancone erano tutti occupati e una decina di persone erano in piedi riunite a coppie o in gruppetti di tre.

Quando entrai, il trio di Tante Clémence si stava avvicinando a una ragazza che aspettava in fondo al locale. Indossava una camicetta nera di pizzo, un lungo filo di perle nere e guanti neri senza dita. Il nastro che le legava i capelli sembrava un'enorme farfalla nera posata sulla sua testa.

Era Chantale Specter.

Nel vedere i suoi amici, Chantale sorrise, indicò con un pollice un uomo alla sua sinistra, e alzò gli occhi al soffitto.

Guardai l'oggetto della sua disapprovazione.

Non poteva essere.

Lo era.

Aprii la borsa e presi il cellulare.

 

21

 

Ryan arrivò nel giro di qualche minuto.

«Chi è il babbeo con il gel?»

«Un giornalista di Chicago che si chiama Ollie Nordstern.»

«Che cosa ci fa qui?»

«Sta bevendo una birra.»

«Che cosa fa a Montréal?»

«Probabilmente stava cercando me. Nordstern lavora a un pezzo sui diritti umani. Ho parlato con lui a Ciudad de Guatemala, e da quel giorno non mi molla più.»

«Non ti molla più?»

«Mi chiama al cellulare, mi tempesta di messaggi in Guatemala.»

Ryan stava fissando Chantale.

«Per caso le cola qualcosa dall'occhio?»

«Probabilmente è un tatuaggio.»

«Perché a questo Nordstern interessa la figlia degli Specter?»

«Forse la sua preda è Chantale, non io.»

«Chantale è la figlia dell'ambasciatore.» Ryan schioccò le dita. «Ma certo: è il suo biglietto per il Premio Pulitzer.»

Guardammo entrambi Chantale. Si era unita ai suoi amici e stava tornando da Nordstern.

«Pronta?»

«Andiamo.»

Mr T era entrato in modalità di vigilanza, i pollici infilati nei passanti, gli incisivi occupati con una gomma da masticare. Ci vide quando eravamo a circa tre metri dal gruppo, e ci osservò come un serpente che punta la preda. Gli altri continuarono a conversare. Nordstern continuò a osservare Chantale.

Ryan li aggirò, prese il bicchiere di Chantale da dietro le spalle della ragazza e ne annusò il contenuto.

Tutti ammutolirono.

«Sono sicuro che avrete modo di dimostrare la vostra età.» Ryan ricorse al suo sorriso paterno. Il poliziotto amico che si preoccupa per i ragazzi.

«Vaffanculo» disse Mr T. Alla luce, pareva più grande di quanto mi era sembrato sulla veranda, poteva aver superato la ventina.

«Metalass?» domandai.

I suoi occhi si spostarono su di me.

«L'hai detto, bella. Melal ass. Culo di metallo. Io ce l'ho d'acciaio temperato. E tu, bella?» Batté i palmi sul bancone producendo un'improvvisa raffica di colpi. Chantale sussultò leggermente.

«Usi il nickname "Metalass" per collegarti?»

«Belle tette.»

«So che lo dici con affetto.»

«Magari un giorno possiamo prenderci un cappuccino insieme.» Mr T si grattò il petto, e un ghigno gli comparve su un angolo della bocca.

«Certo» replicai. «Nel tuo giorno delle visite, verrò come volontaria del servizio civile.»

Una risatina nervosa.

«Oh, che cazzo ti ridi, tu?» Mr T si era voltato verso la ragazza in gonnellona.

Ryan si spostò accanto a Mr T e gli piegò il braccio dietro la schiena.

«Che caz...»

«Non dimentichiamo la buona educazione.» La voce del poliziotto amico si era fatta di ghiaccio.

«Questo è un cazzo di abuso di potere.»

Una vena pulsò sul collo di Mr T.

Quando cercò di liberarsi, Ryan aumentò la torsione.

Chantale fece per alzarsi, ma le posai le mani sulle spalle e la trattenni sul suo sgabello. Da vicino, notai che le lacrime tatuate erano finte. La prima curvava verso il margine esterno della palpebra.

Nordstern osservava l'intera scena con aria indifferente.

«La mia collega ti ha rivolto una domanda legittima» disse Ryan nell'orecchio di Mr T. «Tra di noi, ti stiamo chiamando Mr T, ma lo troviamo un po' imbarazzante, perché ci fa sentire vecchi.»

Nessuna risposta.

Ryan gli torse ancora il braccio.

«La solita fottuta violenza della polizia.» Mr T a denti stretti.

«Te la stai cavando bene.»

Nordstern cominciò a piegare un tovagliolo di carta in tanti triangolini.

Un'altra torsione.

«Metalass.» Fu quasi un grido.

La coppia accanto a Nordstern rinunciò alle birre.

«Non credo che tua madre abbia fatto scrivere Metalass sul tuo certificato di nascita» gli disse Ryan.

«Io credo che tua madre non sapeva nemmeno leggere e scrivere.»

Un'altra torsione.

«Cazzo!»

«Sto perdendo la pazienza» sibilò Ryan.

«Prenditi un Prozac.»

Ryan aumentò ancora la torsione.

«Leon Hochmeister. Adesso toglimi di dosso quelle mani del cazzo.»

Ryan lasciò il braccio del ragazzo.

Hochmeister piegò la schiena in avanti e sputò la gomma per terra. Poi riportò il busto in posizione eretta, e fece ruotare la spalla massaggiandosi contemporaneamente il braccio.

«Hai bisogno di imparare qualche parola nuova, Leon. Forse dovresti provare con uno di quei dizionarii dei sinonimi online.»

Furente, Hochmeister fece per sputare l'ennesima imprecazione, ma cambiò idea; i suoi occhi fremevano di rabbia, un Rasputin con cresta da moicano.

Ryan si rivolse alla Statua.

«E tu chi sei?»

«Presley Iverson.» Il giovane aveva un'espressione di divertita curiosità.

La ragazza in gonnellona.

«Antoinette Gaudreau.»

«Ho il piacere di parlare con Dirtdoggy, Bedhead, Sexychaton o Criperçant?»

«Io sono il Gridatore» disse Iverson presentandosi con uno svolazzo della mano. «Cri perçant. Grido penetrante.»

«Molto poetico.»

Dalla bocca di Iverson emerse una bolla rosa. Quando scoppiò, lui cominciò a impastare la gomma per un altro giro. Ryan guardò la ragazza.

«La posta elettronica io non la uso quasi mai.»

«E quando la usi, come ti fai chiamare?»

La ragazza scrollò le spalle. «Sexychaton.»

«Grazie, Micina.»

Antoinette Gaudreau era sexy come un capodoglio.

«Ehi, tu non puoi venire qui a fare le tue domande del cazzo e a malmenare la gente.» Hochmeister stava riacquistando la sua baldanza.

«Leon, questo è esattamente quello che io posso fare. E un'altra cosa che mi è lecito fare è portare quel tuo culo secco in galera per aver nascosto un minore in fuga. Credi che dal tuo fascicolo possa uscire del materiale di lettura interessante?»

Leon smise di massaggiarsi il braccio. Guardò Chantale, poi il soffitto. Quando riabbassò la testa, il sudore gli imperlava la linea tra la cresta da moicano e la fronte.

«Non sappiamo niente di quelle cazzate.»

«Quali cazzate, Leon?»

«Le stronzate che quello ci sta raccontando.»

Con la coda dell'occhio vidi Nordstern trasalire.

«Ma "quello" chi sarebbe, Leon?»

Hochmeister allora indicò Nordstern con un cenno della testa.

«E nemmeno Chantale ne sa niente.» Puntò il pollice verso Nordstern. «Questo pezzo di merda è un fuori di testa come te.»

«Perché dici questo, Leon?»

«Perché quello è convinto che Chantale c'entri con una tipa che hanno fatto fuori a Ciudad de Guatemala.»

«Leon!» sibilò Chantale.

«Un po' fuori tema per un articolo sui diritti umani» dissi a Nordstern.

Il giornalista distolse lo sguardo dal tovagliolo e lo portò su di me.

«Forse.»

«Lei dove alloggia, signore?» domandò Ryan.

«La prego.» Nordstern appallottolò il tovagliolo. «Non perda tempo con me. Le mie informazioni e le mie fonti sono strettamente riservate.»

Nordstern gettò il tovagliolo sul bancone e mi guardò.

«A meno che non si possa arrivare a qualche vantaggio reciproco.» La sua voce era unta come una piattaforma di trivellazione.

«Non capisco di che cosa stia parlando.»

Nordstern mi studiò a lungo prima di rispondere.

«Voi non avete idea di che cosa stia succedendo.»

«Ah no?»

«Siete così fuori strada che potreste benissimo essere su Ganimede.» Nordstern si alzò. «Non siete nemmeno nella galassia giusta.»

«L'ultima volta che ho controllato, Ganimede era ancora nella Via Lattea.»

«Giusto, dottoressa Brennan.» Il giornalista svuotò il bicchiere e lo posò sul bancone. «Ma non stiamo parlando di astronomia.»

«E di che cosa?»

«Di omicidio.»

«Di chi?»

L'uomo sollevò le sopracciglia, e oscillò l'indice come un metronomo.

«È un segreto.»

«Perché?» domandai.

L'indice oscillò ancora.

«Segreto.»

Mi resi conto che Nordstern era alticcio.

«Profondo segreto. Segreto mortale.»

Cercò di continuare a sorridere, ma non ci riuscì, come se il suo sorriso rispondesse a una volontà tutta sua.

«Sto al Saint Malo» Nordstern disse a Ryan.

E a me: «Mi chiami pure, quando vorrà capire qualche segreto molto profondo».

Guardai Nordstern dirigersi verso la porta. A metà percorso, si voltò e sussurrò la parola «Ganimede». Poi si sfiorò la fronte con due dita e uscì.

«Quel coglione è fuori» disse Hochmeister. «La prossima volta che lo incontro, gli faccio un culo grosso come Cape Breton.»

«Leon, ho intenzione di dirtelo una volta sola. Vattene a casa.» Ryan sollevò una mano. «No, non voglio essere così specifico.» Puntò il dito contro il naso di Hochmeister. «Vattene e basta. Vattene adesso. E tu e i tuoi amici potete passare la notte a vedere le repliche di Archie Bunker. Rimani, e la passerete senza lacci e senza cintura.»

Iverson e Gaudreau schizzarono dagli sgabelli come se fossero caricati a molla. Hochmeister esitò un istante, poi si alzò e batté in ritirata. Quando furono usciti, Ryan si rivolse a Chantale.

«Che cosa voleva Nordstern?»

«Si chiama così quel coglione?»

Chantale prese la sua birra. Ryan gliela tolse di mano e la posò.

«Ollie Nordstern» dissi io. «È un giornalista del "Chicago Tribune".»

«Davvero?»

Bella domanda, pensai. Avevo accettato la versione di Mateo senza mai mettere in dubbio l'identità di Nordstern.

«Che cosa ti stava chiedendo?»

«I miei progetti per il Sundance.»

«Chantale, non credo che tu ti sia resa conto di quanto sia seria la tua situazione. Tu stai commettendo un reato di oltraggio, per cui il giudice ti può sbattere di nuovo dritta in galera.»

Chantale non sollevò lo sguardo dalle sue ginocchia. Il volto pallido era coperto di ciocche nere, che le lasciavano scoperta solo la punta del naso.

«Non ti sento, Chantale.»

«Voleva sapere di quelle ragazze morte»

«Quelle di cui ti ho parlato mentre eri in carcere?»

Chantale annuì e la farfalla di pizzo nero ondeggiò.

Ripensai alle strane domande di Nordstern alla sede della FAFG.

«Durante la nostra intervista, Nordstern mi aveva chiesto qualcosa sul caso della Pensión Paraíso» dissi a Ryan.

«E lui come faceva a sapere di quel caso?»

«Non lo so.»

Di nuovo, condividemmo lo stesso pensiero: per caso Nordstern sospettava un collegamento tra gli Specter e il caso della Pensión Paraíso?

Mi rivolsi a Chantale.

«Nordstern come ti ha trovata?»

«E che caspita ne so, io? Probabilmente si è appostato fuori di casa mia.»

«E ti ha seguita da Tim Hortons.»

«Voi non mi avete trovata così?»

«L'avevi già visto altre volte prima di questa sera?»

«Ci incontravamo segretamente sotto le gradinate dello stadio.»

«Chantale?»

«No.»

«Che cos'altro ti ha chiesto?»

Non rispose.

«Chantale?»

La figlia dell'ambasciatore alzò lo sguardo. La rabbia aveva indurito i suoi lineamenti, trasformandola in una gelida versione della ragazzina sulla foto dell'ambasciata.

«Mi ha chiesto di mio padre» rispose con voce tremante. «Del mio famoso, fottuto maledetto padre. Non mi ha chiesto di me. A nessuno frega mai niente di me.»

Chantale frugò in una borsetta ricamata che portava a tracolla, prese un paio di occhiali scuri e li infilò. Una immagine distorta della mia faccia comparve su ciascuna delle lenti, due Tempe da labirinto degli specchi, con la stessa aria confusa.

Ryan gettò due monete sul bancone.

«Tua madre è molto preoccupata. Possiamo parlare domani.»

Chantale si lasciò accompagnare fuori del ristorante, sulla scala mobile, nell'atrio. Mentre ci avvicinavamo alle porte a vetri che davano sulla Sainte-Catherine, Ryan cercò i miei occhi e mi indicò di guardare la vetrina dell'enoteca SAQ. Ollie Nordstern aspettava vicino all'entrata, fintamente impegnato a studiare una selezione di chardonnay francesi.

«Che ne pensi?» domandai.

«Che nel futuro di quel tizio non vedo decisamente un incarico per conto della CIA. Vediamo se ci segue.»

Ryan e io sospingemmo Chantale verso la porta e poi oltre il primo angolo. Lei reagì con una delle sue occhiate al cielo, ma non disse nulla.

Nordstern uscì sul marciapiede venti secondi dopo di noi, si guardò intorno, e si diresse verso ovest. Arrivato ad Atwater, invertì la direzione e tornò indietro.

Lo osservai fermarsi sulla Lambert-Closse, guardare alla sua sinistra, verso la montagna, poi verso Cabot Square. Il mio sguardo seguì il suo, poi si spinse oltre l'incrocio. Fu lì che notai l'uomo con il berretto da baseball. Avanzava verso Nordstern, con una Luger nove millimetri infilata nella cintura.

Ciò che seguì furono novanta caleidoscopici secondi che sembrarono una tripla eternità.

«Ryan!» Indicai l'uomo armato.

Ryan sfoderò la pistola. Feci cadere Chantale in ginocchio e mi rannicchiai vicino a lei.

«Polizia!» gridò Ryan. «Tutti a terra! Par terre!»

L'uomo con il berretto si portò a un metro e mezzo, distese il braccio e puntò l'arma sul petto di Nordstern.

Una donna urlò.

«Una pistola! Arme à feu!» Le parole rotolarono sulla Sainte-Catherine come un pallone sul campo durante una partita di football.

Un altro grido.

Due esplosioni squarciarono l'aria. Nordstern cadde all'indietro, mentre due macchie rosse gli si allargavano sulla camicia.

Per strada c'erano una quindicina di persone. Quasi tutti si erano buttati in ginocchio. Qualcuno scappava verso il Forum. Un uomo afferrò una bambina e le si avvolse intorno come un armadillo. Le grida della bimba si aggiunsero alla confusione generale.

Alcune auto accostarono al marciapiede, altre accelerarono. L'incrocio si svuotò.

L'uomo con la pistola - gambe aperte, ginocchia leggermente piegate - continuava a disegnare di fronte a sé ampi archi nel vuoto con la sua Luger. Da sinistra a destra. Da destra a sinistra. Era a circa cinque metri da me, eppure sentivo il suo respiro, vedevo i suoi occhi sotto la tesa blu del berretto.

Ryan si era accucciato dietro un taxi parcheggiato sulla Lambert-Closse, la pistola impugnata a due mani e puntata sullo sparatore. Non mi ero nemmeno accorta che si era allontanato.

«Arrêtez! Fermi dove siete!»

Una canna scura si mosse e mirò la testa di Ryan. Il dito dell'uomo si spostò sul grilletto. Trattenni il fiato. Ryan non aveva sparato per timore di colpire un passante. L'aggressore poteva non avere gli stessi scrupoli.

«Getta l'arma! Jetez votre arme par terre!» gridò Ryan.

Dalla faccia dell'aggressore non traspariva nessuna emozione.

Dall'isolato successivo, arrivò il clacson di un'auto. Sopra di me, il semaforo passò dal verde al giallo.

Ryan intimò ancora di gettare l'arma.

Dal giallo al rosso.

L'urlo di una sirena, in lontananza. Un altro urlo. Un altro.

L'aggressore indietreggiò di un paio di passi e si piegò verso una donna accucciata sul marciapiede, senza mai spostare la canna della pistola dalla faccia di Ryan. La donna abbassò la testa sul marciapiede e la coprì con le braccia.

«Non mi uccidere. Ho due bambini.» La voce della donna era isterica per il terrore.

L'assassino la afferrò per la giacca e la trascinò sulla strada.

Ryan sparò.

Il corpo dell'uomo fu percorso da una scossa. Lasciò la donna e si strinse la spalla. Una macchia di sangue gli fiorì sulla camicia.

L'uomo si rimise in posizione, sollevò la Luger e sparò quattro colpi. Le pallottole si conficcarono nel muro sopra di noi. I frammenti dei mattoni ci piovvero in testa.

«Oh, Dio. Oh, no.» La voce di Chantale era acuta e tremante.

Ryan sparò di nuovo.

L'aggressore cadde addosso alla donna, che riprese a gridare. Udii il suo cranio sbattere sulla strada, la Luger cadere a terra, la donna strisciare verso il marciapiede.

La donna adesso singhiozzava. La bambina piangeva. Per il resto, tutto era silenzio. Nessuno parlò. Nessuno si mosse.

Le sirene si fecero più intense, fino a formare un coro urlante. Le volanti arrivarono da ogni direzione, con i pneumatici che stridevano sull'asfalto, le luci che lampeggiavano, le radio che crepitavano.

Ryan si alzò, la pistola puntata verso il cielo. Lo osservai cercare il tesserino.

Accanto a me, udii Chantale respirare in modo irregolare. Mi voltai verso di lei. Le tremavano le labbra. Le guance erano lucide. Le accarezzai i capelli.

«È finita.» La mia voce non sembrava nemmeno la mia. «È tutto a posto.»

Chantale mi guardò. Sul viso le erano rimaste solo le due lacrime tatuate.

«Davvero?»

La abbracciai. Lei si lasciò andare e scoppiò a piangere silenziosamente.

 

22

 

Come il mattino dopo l'imboscata di Sololá, mi svegliai con una indistinta sensazione di terrore, ma bastò un attimo e la scena mi irruppe nella mente. Mi sembrò di rivivere l'esplosione del petto di Nordstern. Di udire il rumore della pistola di Ryan. Di vedere il corpo inerte dell'aggressore, con il sangue che colava sulla strada. Non avevo ancora notizie ufficiali, ma ero certa che entrambi gli uomini fossero morti.

Mi strofinai il viso con le mani, chiusi gli occhi e mi tirai le coperte oltre la testa. Non sarebbero mai finiti gli omicidi?

Rividi Chantale, le guance striate di lacrime, il corpo rigido di terrore. Mi sentii attraversare da un brivido al pensiero del rischio che insieme avevamo corso di rimanere ferite o uccise. Come avrei potuto dire una cosa simile alla madre?

Immaginai la disperazione di Katy, se qualcuno le avesse portato la notizia della mia morte. Grazie a Dio non sarebbe stato necessario.

Ripensai a Nordstern a Ciudad de Guatemala, e al bar del Jillian's qualche minuto prima della sua morte. Provai una fìtta di rimorso. Quell'uomo non mi piaceva, non ero stata gentile con lui. Ma non avrei mai immaginato che sarebbe morto così.

Morto.

Gesù! Che cosa aveva scoperto Nordstern? Che cosa poteva aver scoperto di così grave da finire ammazzato in una strada di Montréal?

I pensieri tornarono a Chantale. Che impatto avrebbero avuto quei fatti su di lei? Un adolescente turbato poteva prendere tante direzioni. Rimorso? Fuga? Rifugio nella droga?

Chantale da fuori sembrava una ragazza forte, ma sospettavo che dentro fosse fragile come un'ala di farfalla. Mi ripromisi di starle vicino, che lei lo volesse o no, e andai a fare la doccia.

L'estate, arrivata così inaspettatamente, durante la notte ci aveva ripensato, e quando uscii dal garage, fui accolta da una pioggerellina leggera ma costante, e da una temperatura che di colpo era scesa a quattro gradi. C'est la vie québequoise.

Al laboratorio, la riunione del mattino fu breve, fortunatamente, e non produsse casi di antropologia. Trascorsi l'ora successiva tagliando segmenti di gomma e incollandoli sul duplicato realizzato da Susanne del cranio della Pensión Paraíso. A parte la superficie esterna leggermente lucida e sottile, il modello sembrava esattamente come l'originale.

Alle dieci ero seduta davanti a un monitor della Section d'Imagerie, il laboratorio che si occupava delle fotografie e dell'imaging computerizzato. Lucien, il nostro guru della grafica, stava sistemando il modello del cranio davanti a una videocamera, quando entrò Ryan.

«Che cosa sono tutti quegli affari che spuntano dal cranio?»

«Sono i marcatori di spessore tessutale.»

«Chiarissimo.»

«Ogni marcatore segnala quanta carne deve esserci in un punto specifico della faccia o del cranio» spiegò Lucien. «La dottoressa Brennan li ha inseriti seguendo i parametri standard relativi a una donna di razza mongoloide. Giusto?»

Annuii.

«Abbiamo fatto vagonate di riproduzioni facciali come questa.» Lucien regolò una luce. «Anche se questa è la prima a partire da un cranio di plastica.»

Vagonate?

«Mi lasci indovinare. La videocamera cattura le immagini, le invia al PC e lei collega i vari punti.»

Ryan riusciva sempre a trasformare le cose più complesse in materia da scuola materna.

«Non è così semplice. Comunque, sì, una volta che ho disegnato i contorni facciali utilizzando gli indicatori come riferimento, scelgo i lineamenti dal database del programma, trovo quelli che si adattano meglio, e li inserisco nell'immagine.»

«Questa è la tecnica che avevi utilizzato con i cadaveri della setta Potenzia La Tua Vita Interiore?»

Ryan si stava riferendo a un caso di cui ci eravamo occupati insieme diversi anni prima. Alcuni studenti della McGill erano stati adescati e coinvolti in una setta guidata da un sociopatico con illusioni di immortalità. Dopo che in una fossa vicino alla comune del gruppo, in South Carolina, era stato rinvenuto uno scheletro, Lucien e io avevamo utilizzato un'immagine del viso riprodotta al computer per stabilire se i resti appartenevano a una studentessa scomparsa.

«Sì. Che cosa è successo a Chantale?»

«Il giudice ha accettato di darle un'altra possibilità e le ha concesso gli arresti domiciliari.»

La sera precedente, mentre Ryan si era fermato sul posto per rendere conto della sparatoria, io avevo portato Chantale a casa. E quella mattina Ryan era passato da lei per verificare che fosse ancora lì.

«Credi che la madre questa volta sarà più vigile?»

«Credo che in questo momento Noriega sia molto più libero di quanto possa sperare di esserlo Chantale nell'immediato futuro.»

«Ieri sera mi è sembrato proprio che avesse la coda tra le gambe» dissi.

«Sì, ha leggermente abbandonato l'atteggiamento fottiti-e-lasciami-stare.»

«Tu come stai?» chiesi, notando la sua espressione tesa.

A Montréal, su ogni sparatoria in cui è coinvolto un agente di polizia, viene aperta un'inchiesta interna. Per garantire l'imparzialità, la Sezione Omicidi della CUM indaga sulle sparatorie degli agenti della SQ; e la SQ indaga sugli incidenti che coinvolgono gli agenti della CUM. Mentre mi allontanavo con Chantale, avevo visto Ryan consegnare la sua pistola a un poliziotto della CUM.

Ryan scrollò le spalle. «Due morti, e uno era mio.»

«Ci sei stato costretto, Ryan. E loro lo sanno.»

«Ho trasformato la Sainte-Catherine in una Sfida all'OK Corral.»

«Il tizio aveva ammazzato Nordstern e stava per prendere un ostaggio.»

«Ti hanno già contattata?»

«Non ancora.»

«Non è una telefonata che aspetto con ansia.»

«Gli dirò esattamente che cosa è successo. Hai saputo chi era l'aggressore?»

«Carlos Vicente. Aveva un passaporto guatemalteco.»

«L'idiota ha portato con sé i documenti per commettere un omicidio?»

Ryan scosse la testa. «No, li abbiamo trovato al Days Inn, sulla Guy. Abbiamo perquisito la sua stanza e in una valigia c'era il passaporto.»

«Non sembrerebbe un professionista.»

«Abbiamo trovato anche duemila dollari statunitensi e un biglietto aereo per Phoenix.»

«Nient'altro?»

«Mutande sporche.»

Lo guardai male.

«Ho telefonato a Galiano. Sul nome di Vicente non è uscito niente, ma dice che ha intenzione di scavare più a fondo.»

«E di Nordstern, che mi dici?»

«Non mi sembra fosse candidato al Pulitzer.»

Un'altra occhiataccia.

«Sto andando all'Hotel Saint Malo. Visto che Nordstern era il tuo uomo, pensavo che magari avresti voluto aggregarti.»

«Devo finire questa ricostruzione facciale.»

«Posso farla io, dottoressa Brennan.» Lucien suonò come una riserva della squadra di football del liceo.

Forse lo guardai con aria scettica.

«Lasci che ci provi io.» Coach, ti prego, mandami in campo.

Perché no? Se la faccia di Lucien non fosse andata bene, avrei sempre potuto rifarla io.

«Va bene. Prepari un'immagine frontale. Non forzi i lineamenti. E si accerti che corrispondano all'architettura facciale.»

«Allons-y» disse Ryan.

«Allons-y.» Andiamo.

 

Il Saint Malo era un minuscolo hotel sulla Rue du Fort, a circa sei isolati a est del Pepsi Forum.

Il proprietario era un uomo alto e scheletrico con l'occhio sinistro strabico e la pelle del colore del tè vecchio di un giorno. La nostra visita non lo entusiasmò, ma il tesserino di Ryan lo convinse a collaborare.

La stanza di Nordstern aveva le dimensioni di una cella, e più o meno la stessa atmosfera. Pulita, funzionale, niente fronzoli. Per l'inventario non impiegai più di tre secondi.

Letto di ferro. Armadio malridotto. Cassettone malridotto. Comodino malridotto. Bibbia. Nessun oggetto personale in vista. Niente nei cassetti né nell'armadio.

Il bagno aveva un'aria più vissuta. Spazzolino. Dentifricio. Rasoio usa e getta. Gel da barba Gillette Cool Wave per pelli sensibili. Docciaschiuma Dippity-Do. Saponetta dell'hotel.

«Niente shampoo» notai, mentre Ryan spostava la tendina della doccia con la sua penna.

«E chi ha più bisogno di shampoo quando ha un bel docciaschiuma Dippity-Do?»

Tornammo nella stanza.

«Il tipo viaggiava leggero, non c'è che dire» disse Ryan, tirando una sacca da hockey da sotto il letto.

«Scaltro. Sapeva come confondersi con i nativi.»

«È una borsa da atletica.»

«È una borsa da hockey.»

«La NHL ha ventiquattro punti vendita in franchising a sud del confine.»

«L'hockey non ha affatto alterato il buon gusto degli americani.»

«La tua gente ha le pigne in testa.»

«Pensi di aprire quella borsa oppure no?»

Osservai Ryan estrarre alcune camicie e un paio di pantaloni.

«Era un uomo da boxer.»

Sollevò le mutande con pollice e indice, poi estrasse un passaporto.

«Americano.»

«Vediamo.»

Ryan lo aprì e me lo passò.

Nordstern non doveva essere stato di buon umore il giorno in cui aveva fatto la foto. E non doveva neanche aver dormito molto. Era pallidissimo, e la pelle sotto gli occhi era scura e gonfia.

Di nuovo, provai una fitta di rimorso. Anche se Nordstern non mi piaceva, non gli avrei mai augurato di finire così. Guardai le sue cose, prove di una vita stroncata. Chissà se Nordstern aveva una fidanzata, una moglie. O magari dei figli piccoli. Chi li avrebbe informati della sua morte?

«Deve aver richiesto il passaporto prima dell'epifania del Dippity-Do» disse Ryan.

«È stato rilasciato l'anno scorso.» Continuai a leggere. «Nordstern era nato a Chicago il 17 luglio 1966. Gesù, credevo avesse dieci anni di meno.»

«È il gel. Ti rasa via gli anni che è una bellezza.»

«Lascia perdere il gel.»

Ryan non stava prendendo alla leggera la morte di Nordstern. Stava solo ricorrendo al tipico umorismo da poliziotti per allentare la tensione. Lo facevo anch'io. Ma la sua leggerezza cominciava a infastidirmi.

Ryan prese quattro libri. Tutti familiari. Guatemala: passarla liscia; Las massacres en Rabinal; Violenza di Stato in Guatemala: 1960-1999; Guatemala: mai più.

«Forse Nordstern stava davvero lavorando sui diritti umani» dissi.

Ryan aprì la cerniera di una tasca della borsa.

«Hel-lo!»

Recuperò un biglietto d'aereo, una chiave, un taccuino a spirale. Attesi che controllasse il biglietto.

«Giovedì scorso ha preso un volo per Montréal con la American.»

«Quello delle dodici e cinquantasette via Miami?»

«Sì.»

«È il volo che abbiamo preso la signora Specter e io.»

«Non l'avete visto?»

«Ci siamo sedute davanti, siamo salite per ultime, scese per prime, aspettato nella sala VIP tra i due voli.»

«Magari Nordstern ti stava pedinando.»

«O magari stava seguendo la moglie dell'ambasciatore Specter.»

«Giusto.»

«Andata e ritorno?»

Ryan annuì. «Ritorno aperto.»

Mentre Ryan controllava la chiave, io osservai gli oggetti personali di Nordstern. Era chiaro che il tizio era convinto di tornare al Saint Malo. Aveva capito che pericolo stava correndo? Aveva preso in considerazione la possibilità di una morte improvvisa?

Ryan prese la chiave. Un'etichetta di plastica diceva che era dell'Hotel Todos Santos di Calle 12, nella Zona Uno.

«Quindi il nostro uomo stava tornando in Guatemala» dissi io.

Quando Ryan aprì il taccuino, una busta bianca quadrata cadde a terra. Dal rumore capii che cosa conteneva.

Raccolsi la busta e ne estrassi un CD. SU un'etichetta scritta a mano c'era la parola SCELL.

«Che caspita vuol dire "scell"?» domandò Ryan.

«Punk rock?» Ero ancora sconcertata dalla mia ignoranza in materia.

«Rock igneo?»

«Magari è un codice in spagnolo.» Ma non sembrò una buona idea, già mentre la stavo formulando.

«Uno scheletro?» suggerì Ryan.

«Ma questa parola, con la "c" al posto della "h" non vuol dire niente.»

«Magari il nostro amico non conosceva bene l'ortografia.»

«Era un giornalista.»

«Forse sta per "cellulare".»

«E della "s" che cosa facciamo?»

Pensammo al nome contemporaneamente.

«Specter.»

«Gesù, credi che Nordstern abbia intercettato le telefonate della ragazza?»

Ripensai alla madre di Chantale con l'emicrania.

«Avevi colto il riferimento della signora Specter ai giochetti del marito?»

«Credi che il maritino abbia problemi di cerniera lampo?»

«Forse Nordstern non era affatto interessato a Chantale.»

«E la stava usando solo per prendere all'amo un pesce molto più grosso?»

«Forse Nordstern intendeva questo quando ha detto che ero fuori strada.»

«Un ambasciatore donnaiolo non è un grande scoop.»

«No. In effetti non lo è» concordai.

«E non sembra un motivo sufficiente per far fuori qualcuno.»

«E che cosa mi dici dei peli del gatto di un ambasciatore ritrovati sui jeans della vittima di un omicidio?»

«Direi che andiamo già meglio.»

«Santa merda.»

«Cosa?»

«Mi è appena venuta in mente una cosa.»

Ryan mi invitò a proseguire con un gesto.

«Ti ho raccontato, vero?, che due membri della nostra squadra hanno subito un'imboscata mentre stavano guidando verso Chupan Ya?»

«Sì.»

«Carlos morì, Molly è sopravvissuta.»

«Come sta?»

«I medici hanno previsto un recupero totale. Ora è tornata in Minnesota, ma Mateo e io eravamo andati a trovarla all'ospedale di Sololá prima che lasciasse il Guatemala. I suoi ricordi erano confusi, ma Molly credeva di ricordare che gli aggressori parlassero di un ispettore. Mateo e io avevamo pensato che potessero aver detto "Specter" invece di "ispettore".»

«Porca puttana.»

Rimisi il CD nella sua custodia.

Quando sollevai lo sguardo, gli occhi di Ryan mi stavano fissando. E non sorridevano.

«Che c'è?» domandai.

«Perché un giornalista di Chicago stava seguendo una pista a Montréal per scrivere un pezzo basato su una vicenda accaduta in Guatemala? Pensaci bene.»

L'avevo già fatto, in effetti.

«Nordstern si era imbattuto in qualcosa di così scottante, che lo hanno assassinato in un Paese straniero.»

E decisamente avrei continuato a farlo.

«Tieni gli occhi aperti, Brennan. Questa gente è stata disposta a bruciare Nordstern. Sono senza scrupoli. E non si fermeranno qui.»

Mi sentii le braccia increspate dalla pelle d'oca. Il momento passò. Ryan tornò il poliziotto rilassato di pochi minuti prima.

«Telefonerò a Galiano per aggiornarlo sul Todos Santos» disse Ryan.

«Ti consiglierei anche di metterti a lavorare su Specter, mentre io finisco la mia ricostruzione facciale. Poi ci ascoltiamo il compact, leggiamo il taccuino di Nordstern e cerchiamo di capire che cosa stava facendo.»

Ryan mi rivolse un largo sorriso.

«Accidenti. Ma allora le voci che corrono sono vere.»

«Quali voci?» domandai.

«Quelle che dicono che sei tu il cervello dell'operazione.»

Resistetti all'impulso di sferrargli un calcio alla caviglia.

 

La chiamata arrivò mentre stavo scuotendo la pioggia dall'ombrello. La voce all'altro capo del filo era l'ultima che avrei avuto voglia di sentire. Invitai il suo possessore nel mio ufficio con l'entusiasmo che riservavo agli ispettori fiscali, ai testimoni di Geova e ai fondamentalisti islamici.

Il tenente Luc Claudel arrivò nel giro di pochi minuti, schiena rigida, faccia composta nella solita espressione di disprezzo. Mi alzai ma rimasi dietro la scrivania.

«Bonjour, monsieur Claudel. Comment ça va?»

Non mi aspettavo di essere salutata. E le mie aspettative non furono deluse.

«Dovrei farle alcune domande.»

Claudel mi considerava un male necessario, status che a malincuore aveva dovuto riconoscermi in seguito all'aiuto che avevo dato nella risoluzione di alcuni casi di omicidio della CUM. Il comportamento di Claudel nei miei riguardi era sempre freddo, riservato e rigidamente francofono. Il fatto che quel giorno mi parlasse in inglese quindi mi lasciò sorpresa.

«La prego, si accomodi» lo invitai.

Claudel si sedette.

E così feci anch'io.

Claudel posò un registratore sulla mia scrivania.

«Questa conversazione sarà registrata.»

Ovviamente non ho alcuna obiezione, razza di stronzo arrogante.

«Nessun problema» dissi.

Claudel accese il registratore, e partì con ora, data, presenti al colloquio.

«Sono stato incaricato di svolgere le indagini relative alla sparatoria dell'altra sera.»

Che giornata meravigliosa. Attesi che proseguisse.

«Lei si trovava sul luogo?»

«Sì.»

«La sua visuale era libera durante lo svolgersi dei fatti?»

«Sì.»

«Le è stato possibile udire le parole scambiate tra il tenente Andrew Ryan e il suo bersaglio?»

Bersaglio?

«Sì.»

Claudel teneva lo sguardo fisso su un punto tra me e lui.

«L'uomo era armato?»

«Aveva una Luger nove millimetri.»

«L'uomo ha manifestato l'intenzione di scaricare la sua arma da fuoco?»

«Quel figlio di puttana ha sparato a Nordstern e poi ha puntato la pistola su Ryan.»

«La prego, non anticipi le mie domande.»

Lo spazio tra i miei molari si ridusse a zero.

«Dopo gli spari rivolti contro Olaf Nordstern, il tenente Ryan ha intimato all'uomo di gettare l'arma?»

«Più di una volta.»

«E questi ha obbedito?»

«Ha afferrato una donna che si stava riparando sul marciapiede. La donna lo ha implorato di risparmiarla perché aveva figli, ma immagino che la sua richiesta non sarebbe stata accettata.»

Le sopracciglia di Claudel disegnarono una V sopra gli occhi.

«Dottoressa Brennan, le chiedo ancora una volta di permettermi di condurre il colloquio alla mia maniera.»

Impassibile.

«L'uomo armato ha tentato di prendere ostaggi?»

«Sì.»

«A suo parere, l'ostaggio era in stato di evidente e incombente pericolo?»

«Se Ryan non avesse agito, la sua aspettativa di vita probabilmente sarebbe scesa a tre minuti.»

«Quando il tenente Ryan ha scaricato la sua arma, l'uomo ha risposto al fuoco?»

«Ha quasi dipinto a spray il muro del Forum con la mia corteccia cerebrale.»

Le labbra di Claudel si strinsero in una linea sottilissima e rigida. Inspirò, e subito espirò.

«Perché lei si trovava al Forum, dottoressa Brennan?»

«Stava cercando la figlia di un'amica.»

«Si trovava sul posto in una qualsiasi veste ufficiale?»

«No.»

«Perché il tenente Ryan si trovava al Forum?»

Che cosa stava succedendo? Sicuramente Ryan aveva già risposto a quelle domande.

«Era venuto a incontrare me.»

Infine gli occhi di Claudel incrociarono i miei.

«Il tenente Ryan si trovava sul posto in veste ufficiale?»

«No.»

Claudel e io ci guardammo come lottatori di wrestling sul ring.

«A suo parere, Andrew Ryan ha agito in modo opportuno durante la sparatoria con Vicente?»

«È stato perfetto.»

Claudel si alzò.

«La ringrazio.»

«È tutto?»

«Per oggi è tutto.»

Claudel spense il registratore e lo infilò in tasca.

«Au revoir, madame.»

Come sempre, Claudel mi lasciò così furiosa, che temetti di rischiare l'embolia. Per calmarmi, andai in corridoio, mi comprai una Diet Coke e tornai in ufficio. Consumai il mio sandwich al tonno e la bibita con i piedi appoggiati sul davanzale della finestra.

Dodici piani sotto, una chiatta procedeva tra le nebbie del San Lorenzo e camion lillipuziani schizzavano dai margini del ponte Jacques Carrier. Le automobili scivolavano sull'asfalto lucido sollevando la pioggia con i pneumatici. I pedoni correvano via con la testa china sotto le cupole degli ombrelli, unici tocchi di colore in un mondo fradicio e grigio.

Mia figlia e io sorridevamo da una spiaggia della costa della Carolina. Un altro posto. Un'altra epoca. Un momento felice.

Arrivata all'ultimo boccone di sandwich, mi ero convinta che la concisione di Claudel doveva essere un buon segno. Se il gesto di Ryan avesse sollevato qualche riserva, il colloquio sarebbe stato molto più lungo.

Assolutamente.

Breve è bello.

Guardai l'ora. L'una e venti. Era tempo di andare a controllare l'approssimazione facciale di Lucien.

Gettai la carta nel cestino disegnando un arco, segnai due punti, e mi avviai verso la Section d'Imagerie.

Lucien era a pranzo, ma l'immagine che aveva composto mi fissava dallo schermo.

Un'occhiata e la mia ritrovata calma andò in frantumi come un parabrezza in un film di Schwarzenegger.

 

23

 

Patricia Eduardo non sorrideva. Né corrugava la fronte o si mostrava sorpresa. In un'immagine, il suo viso era incorniciato da lunghi capelli neri. In un'altra, da una selva di riccioli folti e disordinati. In una terza, i capelli erano molto corti.

Quasi non riuscivo a respirare mentre esaminavo le varianti che Lucien aveva creato. Con occhiali, senza occhiali. Sopracciglia diritte, sopracciglia arcuate. Labbra carnose, labbra sottili. Palpebre cadenti, palpebre nascoste. I particolari superficiali cambiavano, la struttura anatomica era sempre la stessa.

Mentre tornavo alla seconda delle immagini con i capelli lunghi, Lucien entrò alla Section d'Imagerie.

«Che ne pensa?» mi chiese, posando una bottiglia di Evian sul piano di lavoro accanto a me.

«Potrebbe aggiungere la frangetta?»

«Certo.»

Spostai la sedia sulla sinistra. Lucien si sedette al computer e digitò qualche tasto.

Frangetta. Inserì l'immagine.

«Si potrebbe aggiungere anche un cappello?»

«Che tipo di cappello?»

«Un derby da fantino.»

Lucien controllò nel database.

«No.»

Qualcosa con la tesa.

Trovò un cappello con la visiera, adeguò la misura e lo inserì.

Rividi la fotografia di Patricia Eduardo, e rividi la determinazione dei suoi fieri occhi scuri, mentre posava accanto al suo cavallo.

Il volto che avevo di fronte era inespressivo, il risultato programmato di un miscuglio di pixel e di bit. Ma non importava. Era comunque la faccia della ragazza in groppa al suo appaloosa.

Altri ricordi mi attraversarono la mente. Un pozzo nero pieno di liquami. Un cranio che colava melma putrida da ogni orifizio. Ossicine intrappolate in una manica marcia. Possibile? Possibile che una ragazza di diciannove anni che lavorava in ospedale e che amava i cavalli, fosse uscita per una sera nella Zona Viva della città e avesse fatto quell'orribile fine?

Fissai Patricia Eduardo. Vidi dei gattini. Vidi Claudia De la Alda. Vidi Chupan Ya.

Bastardo. Maledetto bastardo d'un assassino.

«A che cosa pensa?»

La voce di Lucien mi riportò al presente.

«Va bene.» Mi sforzai di avere una voce calma. «Molto meglio di ciò che avrei fatto io.»

«Davvero?»

«Davvero.»

Lo pensavo. Se avessi prodotto io un'immagine dalla somiglianza così stupefacente, l'avrei attribuita alla mia conoscenza del contesto. Ma Lucien non aveva mai visto Patricia Eduardo.

«Potrebbe stamparne alcune copie, per favore?»

«Sì, gliele porto nel suo ufficio.»

«Grazie.»

 

«Agente Galiano.»

«Sono Tempe.»

«Ay, buenos días. Sono contento che tu sia riuscita a trovarmi. Hernández e io stavamo uscendo.»

«La ragazza nella fossa biologica era Patricia Eduardo.»

«Nessun dubbio?»

«Nessuno.»

«La ricostruzione facciale?»

«Un sosia perfetto.»

Silenzio.

«Il nostro tecnico ha realizzato l'approssimazione senza conoscere nessun dettaglio del caso. Il risultato è che la madre di Patricia non saprebbe distinguere l'immagine creata al computer dalla fotografia di classe.»

«Dios mio.»

«Te ne mando una copia via fax.»

Dal Guatemala mi arrivò una lunga pausa. Poi Galiano disse: «Stiamo ancora torchiando Gutiérrez».

«Il giardiniere dei De la Alda.»

«Cerote.» Stronzo.

«Immagino significhi che il tizio è un principe fra gli uomini. Quel è la sua storia?»

«La versione del "Reader's Digest" è che si era fissato con Claudia, ha cominciato a starle addosso e a passare le notti parcheggiato fuori della finestra della sua camera.»

«Che gioia. In pratica una specie di pretendente.»

«Alla fine Gutiérrez ha fatto la sua mossa. Sostiene che la vittima era sensibile alle sue attenzioni.»

«Probabilmente era troppo giovane per sapere come respingerlo senza urtare troppo i suoi sentimenti.»

«Il 14 luglio è andato al Museo in auto e le ha offerto un passaggio. Claudia ha accettato. Strada facendo, le ha chiesto di spiegarle qualcosa delle rovine di Kaminaljuyu, e lei ha accettato. Una volta lì, è entrato nel vicolo e le è saltato addosso, Claudia ha resistito, e la situazione è sfuggita di mano. Dopo averla strangolata, l'uomo ha gettato il cadavere nel barranco. Il resto è storia nota.»

«È stato Gutiérrez a telefonare alla signora De la Alda?»

«Sì. Ha ricevuto una visita notturna dalla milizia celeste.»

«Un angelo?»

«Ariel in persona. Ha fatto presente a Gutiérrez che si era comportato male, e gli ha consigliato un rosario e la confessione.»

«Gesù.»

«Non credo che l'amico celeste fosse coinvolto.»

«Hai trovato niente che colleghi Gutiérrez a Patricia Eduardo?»

«Nada.»

«E alla Pensión Paraíso?»

«Non ancora. Ma ora seguiremo anche queste piste.»

Riflettei un secondo.

«I peli di gatto collegano Patricia agli Specter.»

«Stiamo lavorando anche su quello.»

«Ryan sta facendo un po' di ricerche sull'ambasciatore.»

«Gli ho chiesto io di farlo, anche se non sono troppo ottimista.»

«La diplomazia ha fatto quadrato?»

«Una testuggine romana.»

Dopo qualche secondo di silenzio, Galiano disse: «Ryan ci sta tenendo informati su Nordstern».

«Appena avremo letto i suoi appunti, forse ne sapremo di più.»

«Quando Hernández e io abbiamo perquisito la sua stanza al Todos Santos, abbiamo confiscato un portatile.»

«Trovato niente di utile?»

«Ti faccio sapere quando troviamo la password.»

«Ryan è bravo in questo genere di cose. Senti, Galiano, se posso, vorrei rendermi utile anch'io.»

«Lo apprezzerei molto.» Lo udii tirare un profondo sospiro. Quando riprese a parlare, il suo tono era più grave. «Tempe, queste morti mi tormentano. Claudia. Patricia. Queste ragazze avevano l'età di mio figlio, di Alejandro. Non è un'età per morire, quella.»

«Díaz avrà un travaso di bile quando saprà del cranio e delle TAC.»

«Vorrà dire che gli procureremo un po' di Maalox.» La malinconia era passata.

«Io qui ho finito. È ora che torni a occuparmi di Chupan Ya. Se posso aiutarvi a inchiodare l'assassino di Patricia Eduardo, morirò felice.»

«Non nella mia zona, però.»

«Promesso.»

«Che ironia, vero?»

«Che cosa?»

«Il nome completo di quel delinquente.»

Mi ci volle un attimo per capire.

«Miguel Angel Gutiérrez» dissi.

«Un ES oppresso dai sensi di colpa può essere una gran rottura di palle.»

 

Terminai i miei referti sulla testa rimpicciolita e sul tronco smembrato, e informai LaManche delle mie intenzioni di tornare in Guatemala. Mi disse di fare attenzione e mi augurò in bocca al lupo.

Ryan arrivò mentre stavo fissando un volo con la Delta Airlines. Aspettò che chiedessi un posto di corridoio, poi mi tolse di mano la cornetta.

«Bonjour, mademoiselle. Comment ça va?»

Cercai di riprendere il telefono. Il mio telefono. Ma Ryan indietreggiò e sorrise.

«Mais oui» cinguettò. «Ma possiamo anche parlare inglese.» Piegai le dita per indicare «dammi qua», ma Ryan mi avvolse la mano con la sua libera.

«Non esattamente. Però il suo lavoro, adesso, sarà molto difficile» disse, trasudando simpatia da ogni parola. «Io proprio non ci capisco niente di voli e orari.»

Incredibile. Ryan stava giocando a fare il seducente con l'impiegata di un'agenzia di viaggi della periferia di Atlanta! Alzai gli occhi al soffitto con un giro di almeno trecentosessanta gradi.

«Montréal.»

E la tizia gli stava chiedendo i suoi dati.

«Ha ragione. Non è poi così lontano.»

Liberai la mano da quella di Ryan, mi abbandonai contro lo schienale della mia sedia e presi a giocherellare nervosamente con una penna.

«Cara, crede che potrebbe infilarmi sul volo appena prenotato dalla dottoressa Brennan?»

Lasciai perdere la penna.

«Tenente Andrew Ryan.»

Pausa.

«Polizia di Stato.»

Mentre Ryan si passava la cornetta sull'altro orecchio, udii una voce distante, metallica.

«Si impara a convivere con il pericolo.»

Stavo per vomitare.

Dopo un'altra pausa: «Fantastique».

Che cosa era fantastique?

«Sarebbe grandioso.»

Che cosa era grandioso?

«Non c'è nessun problema. La dottoressa Brennan sa che sono un ragazzo alto. Il posto centrale non le dispiacerà.»

Mi sollevai di scatto dallo schienale.

«Alla dottoressa Brennan il posto centrale dispiacerà moltissimo.»

Ryan mi fece un gesto con la mano. Gli lanciai la penna. La parò.

«Un metro e ottantacinque.»

Occhi azzurri. Sapevo già la replica della donna senza bisogno di sentirla.

«Sì, immagino che lo siano.» Risatina modesta.

Tutto questo era assurdo.

«Davvero? Non vorrei che fosse costretta a infrangere le regole per causa mia.»

Lunga pausa.

«2 A e 2 B per Ciudad de Guatemala. Lei è davvero straordinaria.»

Pausa.

«Sono in debito con lei, Nickie Edwards.»

Pausa.

«Il piacere è tutto mio.»

Ryan mi passò la cornetta. Io la riappesi senza commentare.

«Non c'è bisogno di ringraziarmi» disse.

«Ringraziarti?»

«Ci hanno dato i posti davanti.»

«Allora dovrò mandare a Nickie un biglietto di ringraziamento.»

«Non ho chiesto nessun trattamento speciale.»

«Immagino che Nickie sia rimasta travolta dal tuo magnetismo francese.»

«Immagino di sì.»

«E pensi che Nickie ti sferruzzerà un bel maglione di lana per proteggerti dalle gelide notti guatemalteche?»

«Pensi che richiamando riuscirei a parlare di nuovo con lei?» Ryan appoggiò il braccio sulla mia sedia e fece per sollevare la cornetta. Lo allontanai spingendogli una mano contro il petto.

«Potresti metterle il telefono sotto controllo» suggerii gelida.

Ryan scosse la testa. «Abuso di potere.»

«Non preoccuparti. Nickie ti richiamerà appena avrà finito di ascoltare le cassette di "Francese Facile in Dodici Lezioni".»

«Secondo te non potrebbe spedirmi il maglione con un corriere internazionale?»

Gli diedi uno spintone. Ryan lo scansò, ma non aumentò la distanza tra me e lui.

«Hai intenzione di continuare questo tête-à-tête oppure pensi di dirmi perché hai prenotato un volo per Ciudad de Guatemala?»

«Perché è il modo più rapido di arrivarci.»

«Ryan...»

«Per caso la prospettiva della mia compagnia non ti alletta? Mi stai spezzando il cuore.» Si posò le mani sull'organo ferito.

«Non stai andando in Guatemala per fare un piacere a me.»

«Ma lo farei.» Sorriso da chierichetto.

«Hai intenzione di dirmi il motivo oppure no?»

Ryan indicò le ragioni sulla punta delle dita. «Uno: Olaf Nordstern è stato ucciso a Montréal subito dopo essere arrivato dal Guatemala. Dos: l'assassino di Nordstern aveva un passaporto guatemalteco. Tres: André Specter, ambasciatore canadese in Guatemala e residente nella nostra beneamata città, attualmente è oggetto di discrete indagini.»

«Ti sei proposto di andare in Guatemala?»

«Ho offerto la mia collaborazione.»

«Quindi ti hanno dato un nuovo incarico?»

«Diciamo che il Guatemala sembrava preferibile a un posto centrale.»

«E parli spagnolo.»

«Si, señorita.»

«Non me l'avevi mai detto.»

«Non me l'avevi mai chiesto.»

«Sei riuscito a trovare qualcosa su Specter?»

«Secondo la moglie, quell'uomo è una specie di Albert Schweitzer.»

«Non mi sorprende.»

«Secondo gli Affari Esteri, è una specie di Nelson Mandela. E rigorosamente off limits.»

«Galiano mi ha detto che ti sei trovato di fronte a un muro di gomma. Hai parlato con Chantale?»

«Secondo Chantale, il suo vecchio è il marchese de Sade.» Ryan scosse la testa. «Quella ragazzina è proprio arrabbiata.»

«Che cosa ti ha detto?»

«Un sacco di cose. Nessuna delle quali edificante. Ma soprattutto, sostiene che il padre è uno che corre dietro a tutte le gonnelle che vede da che lei si ricorda.»

«Come può una bambina sapere una cosa del genere?»

«Dice che ha origliato molte discussioni tra i genitori, e che una volta ha beccato l'ambasciatore che faceva sesso al telefono nel cuore della notte.»

«Magari stava parlando con la moglie.»

«Madame dormiva al piano di sopra. L'ambasciatore faceva i suoi giochetti al telefono dello studio. Chantale sostiene che poco prima di tagliare la corda, lei e Lucy hanno beccato il padre che usciva dal Ritz Continental con una ragazza sottobraccio.»

«Specter le ha viste?»